Io non taccio: combattere con vigore per la libera informazione

Mai smettere di parlare, investigare, raccontare la verità senza paura, come ogni buon cittadino. Queste le motivazioni principali ma ancor di piu, i temi scottanti che hanno animato la presentazione di ieri, lunedi 28 Dicembre, presso la Feltrinelli Point in via Ghibellina, del romanzo”Io non taccio: l’Italia dell’informazione che dà fastidio” edito da CentoAutori, casa editrice di Villa Ricca, a Napoli, dove denunciare e portare aria nuova è difficile. Scritto da otto giornalisti, accomunati dall’aver subito tutti minacce e intimidazioni, con tanto di aggressioni fisiche, per aver fatto sempre il loro dovere al servizio della libera informazione, il libro ha ricevuto il Premio “Paolo Borsellino” 2015 e e nelle varie storie raccontate cerca di tratteggiare il quanto mai vituperato mestiere del giornalista: pagato poco o niente, difeso a intermittenza dalle Istituzioni, in un paese dove la corruzione e il malaffare pervadono ormai incessantemente la vita pubblica. Storie di umiliazioni, sofferenza: tutto per difendere il proprio diritto a parlare, a non tacere di fronte alle ingiustizie che avvengono nel proprio territorio. Presente Paolo Borrometi, coautore del libro, con il quale hanno dialogato le giornaliste Gisella Cicciò (RTP) Rosaria Brancato (Tempo Stretto), che al termine dell’incontro ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi.

1. La libera informazione vive oggi un momento particolare. Ma è piu facile essere giornalisti oggi rispetto magari a trent’anni fa?

Bella domanda. Sicuramente trent’anni fa c’era una coscienza civile diversa. La società se sentiva di dover stare vicino ad un giornalista ci stava, oggi probabilmente è diverso ma dipende in un certo senso dai mezzi di comunicazione che abbiamo adesso. Pensando alla mia terra, da Giovanni Spanpinato ( ucciso nel 1972) a me è cambiato realmente poco, soprattutto nella capacità corale di descrivere un territorio o un problema. In questo senso un aiuto fondamentale puo’ venire dai giovani che piu di noi devono lottare e cercare sempre la verità in ogni circostanza.

2. Lei ha parlato spesso dello strumento della querela, fim troppo abusato da chi in un certo senso minaccia i giornalisti chiedendo risarcimenti milionari. Puo’ capitare il contrario?

Non si vuole assolutamente dire che esistono solo querele ingiuste contro i giornalisti ma credetemi, è un fenomeno drammatico. Se guardiamo le statistiche notiamo che oltre il 70% delle querele fatte a chi scrive si risolvono in un nulla di fatto, ma creano tanti problemi. È chiaro che anche noi sbagliamo: sono il primo a dire che la mia categoria deve tirarsi un po’ le orecchie a vicenda diciamo. Penso al titolo di qualche tempo fa sul Giornale “Bastardi islamici”. Il direttore della testata è stato, a mio avviso, giustamente querelato e questo è un esempio sbagliato di giornalismo. Dobbiamo sicuramente avere senso di responsabilità, abbiamo uno strumento, la penna, che dobbiamo sempre utilizzare nel migliore dei modi.

3. E l’opinione pubblica invece? Com’è cambiata rispetto a trent’anni fa?

Io oggi la vedo molto distratta. Ci si blocca spesso su polemiche di piccolo taglio e ci si interessa poco dei temi davvero importanti. Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio dell’opinione pubblica, specialmente per quel riguarda la politica, che se certamente è colpevole , ha però come complice il silemzio e il qualumquismo della gente. C’è un problema con le nostre coscienze e dobbiamo essere consapevoli che se ci giriamo dall’altro lato siamo complici.

4. Si dice spesso che Messina e Ragusa, della quale lei è originario, sono province “babbe”. Ma se i babbi siamo noi, gli intelligenti chi sono?

Dobbaimo capire che ci hanno sempre chiamati “babbi” ma non lo siamo proprio.. I furbetti del quartierino sono stati aiutati in un certo senso dall’ auto- convimzione di essere immuni dalla malavita organizzata. Oggi sappiamo che la provincia di Ragusa è usata come sede d’investimenti per le latitanze degli uomini d’onore e non ultimo, per essere il luogo d’incontro della Camorra, della Stidda, di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta, per quanto riguarda il settore dei trasporti e dei mercati ortofrutticoli.

5. Abbiamo di fronte una quotidianetà difficile da vivere, soprattutto per noi studenti. C’è un messaggio che lei vorrebbe dare?

Non credo di esserne capace (ride ndr). Dico solamente quando a un ragazzo gli viene detto “sei il futuro di questo paese” lo si allontana dalle responsabilità. I ragazzi sono il presente di questo paese e debbono essere consapevoli. Non si deve mai delegare ad altri, nè lasciarsi andare, informarsi sempre su quel che succede intorno a noi e coricarsi la sera con la coscienza pulita. È l’unico messaggio che posso dare.

di Valerio Calabrò

Valerio Calabrò, articolista d'attualità e ala polemica del giornale. Studio Scienze delle Relazioni Internazionali e Politiche. Leggo libri di storia da quando avevo sette anni, prima di approdare, quando scrivevo per il giornale d'istituto del Maurolico, ad una visione piu divulgativa della storia e della politica. Mi chiamano Robespierre per il senso del diritto che caratterizza ogni mia azione.

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