Io Clown

13388990_10209453185316367_1315490325_oIndossare il camice colorato, voleva dire spogliarsi delle ansie giornaliere, della rabbia, della tristezza che annebbia il sorriso.
Quando lo avevo addosso, tutti quei colori, quei disegni e quei bottoni smisurati, sembravano alleviare ogni sensazione negativa: in quel momento ero solo un buffo clown con la faccia pitturata ed il naso rosso.
Un giorno che pioveva, non sembrava potessi trovare nel cielo un scorcio di raggio luminoso, neppure con addosso quel grembiule magico.
Eppure il sole c’era.
Non nel cielo, ma nella stanza di una bambina che rideva, rideva da matti.
La sua risata era sole nel buio.
Aveva tre anni, i capelli biondi e gli occhi piccolini; il suo sorriso, che sarà stato bellissimo come la sua risata, era nascosto da una mascherina che la aiutava a respirare.
Lei non poteva alzarsi, si sforzava per ridere e faceva fatica a parlare.
Lei non poteva correre ne giocare come gli altri bambini.
Eppure rideva: rideva per un palloncino scoppiato, per un coccodrillo di peluche che parlava, per dei versi di animali interpretati male.

Lei rideva, in ospedale, a tre anni.
Lei rideva e io vivevo.

Jessica Cardullo

di Redazione UniVersoMe

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