Senza fare rumore

Come quando prendi il bus e ancora questa nuova linea non l’hai capita bene. Ti porta sicuramente a destinazione ma non sai dove potrebbe fermarsi, quindi sono più le volte in cui, per frenate brusche, finisci catapultato in avanti, magari senza aver messo la mano in appoggi sicuri. Tocca quindi rimettersi in equilibrio, sguardo sempre dritto, magari anche oltre la pensilina di arrivo, alla ricerca di un appiglio che non ti faccia cadere. Per me UniVersoMe ha funzionato così, una nuova linea che non era prevista, che non avevo aspettato ma che, ugualmente, mi ha tirato a bordo.

Ormai quasi due anni fa portavo il mio esile curriculum all’attenzione dell’ufficio stampa dell’università per i ruoli iniziali e, guardandomi con gli altri candidati in stanza, essendo quello più piccolo, mi sentivo decisamente a disagio. Un controllo delle mie esperienze, una chiacchierata comune e poi la riunione si scioglie aspettando nuovi aggiornamenti. A dicembre si parte, mi dicono che mi hanno assegnato all’area radio ed onestamente ho pensato di giocare in casa. Accendiamo i microfoni, prima puntata, non tutti siamo preparati, non tutti abituati o capaci, ma tiriamo comunque avanti e produciamo due episodi pilota che piacciono, è ufficiale: esiste radio UniVersoMe e che lo sappiano tutti. A marzo dell’anno seguente partono i lavori veri e propri, quelli che oggi sono confluiti nelle rubriche che ormai ogni giorno ascoltate e nei canali di miglioramento che di continuo stravolgono piani e palinsesti alla ricerca sempre di nuove e preziose leve o rubriche.

Da speaker mi eleggono prima referente dell’area e poi membro del direttivo, ed io onestamente con il comando non ho un buon rapporto, roba che se mi avessero lasciato nel mio ruolo di “semplice” redattore avrei forse sorriso anche di più, perchè il mio desiderio era fare radio, nient’altro. Rispetto quindi l’incarico, conosco tantissime persone ogni settimana e mi appassiono, mi innamoro in sostanza, e finisco per dedicare tutto il mio tempo al progetto, a volte imprecando come se fosse realmente qualcosa di personale, togliendo tempo al mio trascorrere sociale, uscendo al volo di casa o passando ore al telefono. Sono passati due anni ed eccomi qua, lascio Messina per un trasferimento che aspetto dai tempi del diploma e che adesso è realtà, con altri progetti universitari pronti a partire ed altre opportunità lavorative che già cominciano ad interessarmi ma, questo è normale, quando si prende un bus, per l’appunto, l’importante è sapere che la fermata migliore a cui salire è quella vicino casa.

Sicuramente UniVersoMe ha rappresentato per me una tappa importante della mia crescita professionale tra litigate, chiarimenti e discussioni costruttive (per mia fortuna non sto simpatico a tutti, ed a volte è un vantaggio), siamo comunque arrivati alla meta. Molto spesso si è parlato di UniVersoMe come una famiglia dove tutti si vogliono bene e dove tutto va sempre alla grande, ma è ovvio che i nostri ostacoli li abbiamo avuti, e allora a mio parere dovreste tutti pensare, voi tutti che magari inizierete a collaborare con il progetto, che più che una famiglia UniVersoMe è una sfida, vedetela come vi pare, di sopravvivenza, convivenza, collaborazione, crescita, poi per ognuno di voi diventerà sicuramente ciò che più si imprime sulla vostra pelle, senza etichette o appartenenze, un bene comune che poi sarà comunque vostro senza il bisogno concreto di trovargli necessariamente un’accezione da palcoscenico, anzi, che magari finirete per considerare così tanto vostra che ne sarete profondomente gelosi, come un amante geloso della donna che frequenta, anche se sa che non può averla completamente per sè.

Se farete radio, come ho avuto il privilegio io con un team pronto davvero a tutto, riflettete sul fatto che i momenti migliori di uno speaker non sono quelli che iniziano quando legge “On air”, ma quando quel tasto rosso è momentaneamente spento. Nel silenzio delle cuffie, nelle intereferenze dei microfoni e nel bilanciamento delle canzoni cercate voi stessi, guardatevi intorno e tappezzate lo studio di voi per ricordarvi sempre chi eravate prima e dove siete arrivati, sperando che, con me, in foto o video o show registrati possiate sentirvi migliori. Ringrazio chiunque mi abbia concesso questa magnifica opportunità, vado via come un ospite che si è sentito realmente a casa, esco non sbattendo la porta ma accostandola al margine, senza fare rumore per rispetto di chi mi ha sempre trattato come un fratello o un figlio, magari con la possibilità, di tanto in tanto, di guardare dal buco della serratura e respirare ancora aria buona, anche senza cuffie, anche senza silenzio.

Claudio Panebianco

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