La maledizione della vita e il benessere della morte

Manji (Takuya Kimura), un “ronin” ricercato dallo shogun per l’uccisione di alcuni samurai con persino una taglia sulla sua testa, scappa insieme alla sorella minore Machi (Hana Sugisaki) per poterla proteggere ed evitare la sua fine ormai certa.

La ragazzina, dopo essere stata testimone degli atti del fratello, subisce un trauma talmente grande dovuto allo shock a tal punto da impazzire e vivere in un pieno stato confusionale, obbligando Manji a doverla salvaguardare non solo da i pericoli incombenti, ma dalle sue stesse azioni sconsiderate. Sarà proprio una di queste a portarla nelle braccia di un gruppo di cacciatori di taglie che porrà fine alla sua vita sotto lo sguardo attonito e inerme del fratello, che colmo di rabbia e spirito vendicativo affronta l’innumerevole gruppo eliminandone fino all’ultimo membro. Le ferite riportate dallo scontro saranno talmente gravi (con un occhio e una mano perse) da lasciare Manji in fin di vita e prossimo alla morte, ma inaspettatamente una donna, annunciatasi con una età superiore ai 700 anni, porrà all’interno del corpo del ronin e contro la sua volontà, delle sanguisughe (kessenchu) che, a detta sua, rigeneranno le sue ferite e lo renderanno immortale

 

Mugen no jūnin” (letteralmente “abitante dell’infinito”), in Italia “L’immortale” vanta il primato di essere la centesima pellicola targata Takashi Miike, noto regista del Sol Levante autore anche di “13 Assassini” (altra recensione che è possibile trovare nella sezione “Recensioni” di UniVersoMe). Lo stile è classico e caratteristico: samurai, ideali, scontri e tanto sangue. Formula sempre vincente, soprattutto per film del genere. Una regia niente male guida tutto il percorso narrativo, con una sceneggiatura non troppo elaborata che nonostante tutto riesce a coinvolgere, tralasciando piccoli cali che vengono notevolmente recuperati grazie agli scontri spada-spada di una certa qualità. Tuttavia vi è da precisare come “L’immortale” sia una trasposizione cinematografica dell’omonimo manga, dunque è assolutamente apprezzabile e lodevole la scelta del regista di preservare l’opera e rimanerne fedele. Complessivamente il lungometraggio risulta piacevole, con cariche di adrenalina concernenti i duelli e un “drama” costante che accompagna il tutto con il perenne quesito di chi sia nel bene e chi nel male, anche se la prevedibilità e il cliché non mancano mai. E per non farci mancare nulla, il film è disponibile su Netflix.

                                                                                                                                                  Giuseppe Maimone

di Redazione UniVersoMe

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