… Messina ha rivestito un ruolo di primo piano nella storia della lingua italiana?

Nessuna tradizione linguistica europea ha dovuto fare i conti con un dibattito culturale appassionato come la questione della lingua che ha interessato la penisola italiana. La mancanza di un centro politico, che nella vicina Francia si è realizzato in tempi più rapidi consentendo al volgare d’oltralpe di acquisire precocemente una veste formale già nei Giuramenti di Strasburgo (842 d.C), in Italia ha continuato a farsi avvertire almeno fino alla grande svolta linguistica in direzione dell’italiano parlato impressa da Alessandro Manzoni.

E non è un caso che si faccia il nome di uno scrittore. La lingua italiana più di tutte ha un debito nei confronti della letteratura. Possiamo dire che lo sviluppo della lingua comune italiana ha ricalcato le impronte lasciate da quegli autori che hanno dato lustro alla storia letteraria, primo tra tutti, naturalmente, Dante. Ma nel De Vulgari Eloquentia, dovendo cercare un volgare unitario, “illustre”, tra quelli usati dalle varie parlate locali, l’Alighieri cita in primo luogo la scuola siciliana, nata nella magna curia di Federico II di Svevia.

Dante anzi arriva a dire, nel suo trattato latino, che tutto quello che in letteratura è stato fatto fino ad allora, si può chiamare siciliano. Nella corte del sovrano del Sacro Romano Impero, sorta intorno alla sede di Palermo nel XIII secolo, si distinsero alcuni autori messinesi. La loro importanza, non è esclusivamente di carattere artistico, perché non furono solo grandi poeti e codificatori di stilemi e forme metriche destinate a nutrire il Canzoniere di Francesco Petrarca, ma sono stati i primi a conferire piena dignità alla nuova lingua. Del giudice messinese Guido delle Colonne, pioniere della scuola siciliana, i manoscritti tramandano cinque canzoni, definite nel Del Vulgari raffinati esempi di stile. Il ricorso a metafore tratte dal mondo naturale ebbe influenza su altri letterati, tra cui Guido Guinizzelli. Di Stefano Protonotaro, nato a Messina, non si può non rilevare l’autorevolezza documentaria della canzone Pir meu cori alligrari: l’unico componimento della scuola siciliana integralmente conservato nella fonetica originale, quindi una delle più antiche testimonianze in assoluto di volgare italiano. Sono numerosi i nomi associati alla corte di Federico originari del messinese, ma menzione spetta a quello di Nina da Messina, conosciuta come la prima donna a poetare in volgare.

Ma quale doveva essere la lingua in una moltitudine di stati e staterelli come era l’Italia tra il Medioevo e l’età moderna? Le discussioni riguardo alle origini e alle caratteristiche della lingua italiana, anticipate dalla originale trattazione dello scritto dantesco, hanno avuto largo appeal soprattutto nel 1500. A mettere fine alle discordie e ad imporre un modello di riferimento che avrà vita lunga per molti secoli, fu Pietro Bembo. Sappiamo che Bembo, prima di pubblicare le Prose della Volgar Lingua (1525), dove veniva fissato una volta per tutte un canone dell’italiano in Petrarca e Boccaccio, trascorse due anni a Messina. Nel 1492 infatti si recò da Napoli nella città peloritana per studiare il greco alla scuola di Costantino Làscaris. All’epoca risale l’elaborazione dello scritto latino De Aetna dedicato alle impressioni ricavate dall’esplorazione del vulcano.

“ Decidemmo allora di andare a visitare l’Etna, e in tal modo, mentre ci saremmo presi un poco di distrazione, come dovevamo pur fare quantunque occupatissimi, avremmo conosciuto, anche godendo una vacanza, un così grande prodigio di natura. Quindi presi da alcuni simpatici compagni, che ci dovevano fare da guida, partimmo da Messina viaggiando a cavallo. A sinistra si vede subito comparire Reggio e la campagna Calabrese, al di là di un braccio di mare dapprima breve, poi via via più largo poiché dallo stretto si passa a poco a poco al mare aperto. Da dentro ci sovrasta una linea continua di colli, una zona tutta abbondantissima dei doni di Bacco”    (De Aetna, Pietro Bembo)

Il contributo di Messina alla questione della lingua non si esaurisce qui. Il dialetto messinese trova riscontro in alcuni documenti eccezionali. Al 1647 risale un galateo in latino maccheronico, il poemetto Cittadinus maccaronice metrificatus, di autore ignoto composto sotto lo pseudonimo di Partenio Zanclaio. Più avanti, nel ‘700, incontriamo il nome di Pippo Romeo, accademico dei Pericolanti, che ne I pregi dell’ignoranza difende il l’uso dialettale contro la “moda” del parlare italiano. È del secolo scorso un romanzo di mole mastodontica, l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, scrittore nato ad Alì Terme, la cui stesura richiese un travagliato lavoro durato all’incirca 20 anni. L’opera è uno dei più interessanti e complessi casi di postmoderno della letteratura italiana. La lingua usata dall’autore è un rebus inestricabile che fonda una lingua del tutto nuova e personalissima innestata su una base dialettale.

Eulalia Cambria

Si ringrazia il Prof. Fabio Ruggiano del DICAM per la gentilezza e i consigli. Ricordiamo, per chi avesse dei quesiti da sciogliere su questioni particolari legate all’uso della lingua italiana, che è attiva la piattaforma DICO dell’Università di Messina: http://www.dico.unime.it/

 

 

di Redazione UniVersoMe

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