Fog: la tensione viaggia tra la nebbia.

John Carpenter è la prova che con un budget limitato e in poco tempo si possono creare dei piccoli capolavori. Fog, pellicola del 1980, viene considerata un’opera minore del regista, ma possiede tutti gli elementi che hanno fatto guadagnare al bravissimo Carpenter l’epiteto di maestro dell’horror classico.

La trama è piuttosto lineare. Antonio Bay, ridente cittadina portuale della California, si appresta a festeggiare il centenario della fondazione, ma la notte di vigilia, allietata dal programma radiofonico locale della speaker e guardiana del faro Stevie Wayne (Adrienne Barbeau, allora moglie del regista), una strana serie di eventi sconvolge la quiete: si sente bussare a diverse porte, orologi e congegni elettrici impazziscono, motori, fari e clacson delle automobili si accendono da soli e, soprattutto, tre marinai vengono uccisi a colpi di uncini e coltellacci mentre si trovano a bordo della loro barca dopo esser stati ammantati da una misteriosa nebbia molto fitta che nasconde al suo interno misteriosi ed inquietanti segreti.

Quella stessa notte arriva in città l’autostoppista Elizabeth (una giovanissima Jamie Lee Curtis) grazie ad un passaggio di Nick Castle (Tom Atkins), mentre il parroco della città, un alquanto alcolizzato Padre Malone (Hal Holbrook) scopre per caso un vecchio diario di suo nonno, padre fondatore di Antonio Bay. Il diario rivela al prete l’oscuro passato, fatto di tradimenti, cupidigia e inganni della città di Antonio Bay. L’indomani, durante i festeggiamenti per la ricorrenza, fa di nuovo capolino quella fitta nebbia, luminosa e assassina…

Il film certamente non brilla per gli effetti speciali o per i costumi, anzi, per certi aspetti i fantasmi portati dalla nebbia, che dovrebbero essere teoricamente l’elemento più spaventoso del film, se estraniati dal contesto risultano alquanto ridicoli. La bravura del regista si basa sulla capacità di creare un crescendo di tensione senza mostrare nulla di eccessivamente esplicito. Questa necessità, dettata inizialmente da un basso budget, diventa la chiave del successo del film, in quanto permette a Carpenter di sfoggiare le sue abilità tecniche. Sono due gli elementi alla base della tensione palpabile del film.

In primo luogo la colonna sonora. Per chi non lo sapesse, oltre ad essere un bravo regista, John Carpenter è un eccellente compositore. Il ritmo incalzante ed inesorabile del suo sintetizzatore scandisce abilmente i tempi del film, dando movimento ed enfasi ad una regia a volte troppo lenta. I toni drammatici della colonna sonora sono stemprati dai pezzi jazz che Stevie Wayne manda alla sua trasmissione radiofonica.

Ad ogni modo, come dice il titolo stesso, la vera protagonista del film è la nebbia. Essa diviene per gli spettatori proiezione delle paure inconsce dell’uomo nei confronti dell’ignoto. La nebbia origina dal mare e si infiltra lentamente e sinuosamente tra le case di Antonio Bay, portando con sé un crescendo di tensione e paura. La scelta di non entrare nel banco di nebbia con la macchina da presa, di non fenderla ma di lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale o con intervento laterale) rende ancora maggiore l’impressione del pubblico di essere immerso nel film: tale impressione è così vivida da spingere gli spettatori più suggestionabile a voltarsi in dietro, per il timore che la nebbia sia uscita dallo schermo e stia per sorprenderli alle spalle.

L’assenza di elementi espliciti e crudi, la diabolica capacità di Carpenter di creare tensione con pochi ma efficaci elementi, rendono Fog il film perfetto per tutti coloro che vogliono approcciarsi all’horror classico, ma non amano lo spargimento di sangue.

Renata Cuzzola

di Redazione UniVersoMe

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