Alzheimer, ricerca ne svela la causa

Fresco di appena qualche giorno, lo studio che getta nuova luce sul morbo di Alzheimer è consultabile su Nature Communications – rigorosamente in inglese. Si tratta di un lavoro nostrano condotto da  un gruppo di ricercatori guidati da Marcello D’Amelio, professore di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma.

La demenza di Alzheimer (è il nome del neurologo tedesco che la codificò per primo nel 1907) è una malattia neurologica in cui si verifica un declino cronico – ovvero di lunga durata – e progressivo delle capacità cognitive ed intellettive del paziente. Il sintomo più precoce è la perdita di memoria per gli eventi recenti. Ora, sulla base di queste evidenze cliniche si è sempre ritenuto, fino a qualche giorno fa, che il morbo fosse dovuto ad una degenerazione delle cellule dell’ippocampo, area cerebrale da cui dipendono appunto i meccanismi del ricordo.

Tuttavia la nuova ricerca, condotta anche in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma, vira l’attenzione su un’altra area che si trova a livello del tronco encefalico, specificatamente nel mesencefalo, l’area Tegmentale Ventrale.

Nessun ricercatore aveva finora pensato che potessero essere coinvolte aree diverse  dall’ippocampo nell’insorgenza della patologia.

 “L’area tegmentale ventrale – ha spiegato il professor D’Amelio – non era mai stata approfondita nello studio della malattia di Alzheimer, perché si tratta una parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico”.

 Era già noto che a questo livello i neuroni fossero responsabili della sintesi di dopamina, neuro-trasmettitore essenziale per alcuni meccanismi di comunicazione tra le cellule nervose. Piuttosto non si sapeva che – come in un effetto domino – la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provocasse il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria. Lo studio ha evidenziato proprio questo: la morte progressiva dei soli neuroni dell’area tegmentale ventrale e non di quelli dell’ippocampo, già nelle primissime fasi della malattia.

“Abbiamo verificato – ha chiarito D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui, con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore”.

Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.

“Il prossimo passo – ha aggiunto il docente che ha coordinato tutta la sperimentazione – dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione. Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria. Infine, poiché anche il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo ‘selettivo’ la morte di questi neuroni”.

Sono, pertanto, molteplici le prospettive schiuse da questo studio che ci avvicina ad aggiungere un tassello rilevante nella comprensione di questa malattia e, quindi, alla  conseguente possibilità di trovarne una cura.

Ivana Bringheli

 

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