Largo San Giacomo: dalla Storia allo scavo

E’ l’estate del 2000 quando il Comune di Messina finanzia uno scavo con l’intento di svuotare dall’acqua la cripta della Cattedrale. A quest’opera di bonifica, tuttavia, si deve anche un altro merito: l’aver riportato alla luce una cripta settecentesca, edificata sui resti della Chiesa consacrata a San Giacomo Apostolo.

Le carte storiche di Messina, come la planimetria effettuata da Gianfrancesco Arena dopo il terremoto del 1783, confermano l’esistenza della struttura dietro al Duomo, e la vedono inglobata in un caseggiato alle sue spalle verso Est.

A causa della falda acquifera affiorante, non è stato possibile approfondire gli studi sullo scavo, ma si ipotizza l’edificazione dell’opera normanna intorno alla seconda metà dell’ XI e XII secolo; a sostegno di questa ipotesi, troviamo alcuni particolari stilistici, quali i pilastri che separano la navata, la tecnica di costruzione delle mura e la pavimentazione povera, aspetti che la avvicinano molto ad altre opere di periodo normanno, come la Chiesa di Santa Maria della Valle, comunemente conosciuta come “ ‘a Badiazza”.

Nel corso della sua storia, la Chiesa subì numerosi restauri dovuti anche ai frequenti straripamenti del torrente San Giacomo, scorrente in quella zona della città fino al 1548, anno in cui gli Spagnoli eressero una nuova cinta di mura. Tra il XV e il XVIII secolo, possono essere collocate le numerose sepolture rinvenute sotto i pavimenti: secondo i dati fornitici da Gallo, solo nel 1753 verrà costruita una vera e propria cripta per i defunti, identificabile in quella rinvenuta nel 2000.

 

Di questa cripta, grazie agli scavi odierni, è possibile distinguere chiaramente alcune parti restanti, fra cui dei particolari sedili forati: sono i cosiddetti colatoi. Per capire la loro funzione, dobbiamo rifarci all’usanza, diffusissima in Sicilia e in tutto il Meridione in generale, in particolare lungo il XVIII sec., della scheletrizzazione naturale dei cadaveri. Questa pratica antica, che oggi non potremmo fare a meno di definire decisamente macabra, bene si inquadra nel solco delle tradizioni tipicamente meridionali legate al culto dei defunti, come ad esempio la mummificazione, anch’essa praticatissima in Sicilia (si pensi al cimitero dei Cappuccini di Palermo o alle, più vicine, mummie di Savoca).

Nel caso della scheletrizzazione, però, i cadaveri venivano rivestiti con i loro abiti migliori e lasciati, in posizione seduta (grazie all’aiuto dei fori che tutt’ora è possibile vedere), a decomporsi naturalmente nelle apposite nicchie, finchè non ne rimanevano solo le ossa, che venivano a quel punto raccolte e messe in appositi ossari. Questo rituale, che agli occhi del lettore moderno potrà sembrare persino ripugnante, era all’epoca ammantato di un preciso significato religioso, legato al tema della caducità delle cose terrene, tanto che in alcuni luoghi era previsto che dei membri del clero, o anche i parenti stessi del defunto, si recassero periodicamente a visitare i colatoi per pregare e meditare sulla morte; come si può intuire, si trattava di una usanza tutt’altro che salutare, tanto che in vari modi nel corso degli anni le autorità provarono, spesso invano, a scardinarla. 

 

 

 

La primitiva Chiesa medievale era completamente sotto terra, proprio per questo se ne perse la memoria. Tuttavia, al suo interno, era contenuto qualcosa che ne conferma l’esistenza: un antichissimo marmo, oggi custodito nel Museo Regionale di Messina, che si pensa rappresenti l’apoteosi di un eroe o il mito di Icaro.

Sappiamo con certezza che, nella prima metà dell’Ottocento, la chiesa era ancora aperta al culto. Solo dopo, la sede parrocchiale fu trasferita nella chiesa della Madonna dell’Indirizzo e poi nella chiesa Santa Caterina Valverde. L’antica chiesa non esisteva più dal 1902, al suo posto si trovava la casa del Cav. Ruggero Anzà.

Con il terremoto del 1908 la Chiesa della Madonna dell’Indirizzo e la Chiesa di Santa Caterina furono distrutte. Vent’anni dopo, oltre il Torrente Zaera, fu edificata una chiesa in nome di San Giacomo Apostolo, la prima in muratura aperta al culto. Il nuovo complesso parrocchiale, in stile neoromanico, sorge sul primo comparto dell’isolato 54, delimitato dalle vie Reggio Calabria, Buganza, Napoli e Lombardia ed occupa un superficie di mq 1345 circa. Tra i tanti restauri, l’ultimo venne effettuato negli anni 1977-1978.

Fino a poco tempo fa godere dello spettacolo che questo scavo offre, era praticamente impossibile a causa di una distesa di verde dalla crescita incontrollata e di montagne di spazzatura. Oggi, fortunatamente, grazie ai volontari di “PuliAMO Messina” con l’affiancamento della Soprintendenza ai beni culturali e della direttrice dell’Orto Botanico, è stato restituito al monumento il proprio valore storico-culturale.

Erika Santoddì

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco

di Redazione UniVersoMe

Leggi Anche...

Cretto di Gibellina

Gibellina: La Land Art più grande del mondo le dà nuova vita

Il terremoto e la ricostruzione Gibellina, un comune della provincia di Trapani, situato nella suggestiva …