Una settimana è bastata per far emergere la verità sulla Nazionale

La Nazionale è clamorosamente fuori dal Mondiale e ripetutamente sul banco degli imputati. Che il clima tra giocatori e Ventura, esonerato dopo la clamorosa batosta del playoff, non fosse idilliaco lo si era già intuito a “San Siro”, quando De Rossi dalla panchina si agitò notevolmente al mancato inserimento di Insigne in campo, in un momento clou del match, con l’Italia tutta riversata in avanti alla ricerca del gol della speranza mai arrivato, purtroppo.

Le crepe, in realtà, nascono da molto prima: 2 settembre 2017, al “Santiago Bernabèu” l’Italia affronta la corazzata spagnola, subendo una clamorosa imbarcata, che costringe gli Azzurri a giocarsi la qualificazione a Russia 2018 tramite i playoff. La sconfitta segna un punto di non ritorno nel rapporto tra il tecnico genovese e buona parte dello spogliatoio, ormai restìa alle idee di gioco sempre più confuse dell’ex trainer di Bari e Torino, tanto è vero che i giocatori organizzano una riunione all’insaputa del ct.

Ventura, percepito il “tradimento” di buona parte dello spogliatoio e convinto di convivere con una spia in casa, vista la sua continua preoccupazione nelle formazioni indovinate da più di qualche testata giornalistica, comincia a vedere i fantasmi di una fiducia che va via via allontanandosi. Lo dimostrano le brutte vittorie conseguite contro Israele e Albania, condite da uno scellerato pari interno contro la Macedonia di Pandev e Nestorovski, al cospetto di un’Italia senza idee e gioco.

Si arriva al match con la Svezia e alla “Friends Arena” gli Azzurri dimostrano il proprio momento NO: incredibilmente demotivati, intimoriti dalle gomitate di Berg e Toivonen e nuovamente senza idee, Buffon e compagni subiscono una clamorosa sconfitta con un gol più che fortunoso di Johansson. La condizione atletica incide (Verratti che gioca con l’ombra di Isco alle spalle, Candreva che riesce a rendere un fenomeno il mediocre Augustinsson, Belotti e Immobile irriconoscibili da quelli apparsi in Serie A), ma è altresì evidente come la squadra abbia staccato la spina a livello mentale da quel famoso 2 settembre.

Ventura, dopo le idee più che confuse messe in pratica a Stoccolma (la posizione di Insigne resterà un mistero per i prossimi 20 anni ), da buon condottiero, decide di seguire le orme del famoso comandante Schettino: infatti, a 24 ore dal match più importante della sua vita e, presumibilmente, della storia della Nazionale negli ultimi 11 anni, decide di lasciare il ritiro di Appiano Gentile, rinfacciando ai giocatori in un momento più che delicato la famosa riunione post Spagna con la celebre frase rivelata da Sky Sport : “E allora fatela voi la formazione!”

Tra le polemiche di un’Italia senza attributi, di un allenatore sempre più in confusione e di giocatori stranamente poco considerati dal ct, Ventura allontana per un momento l’idea di dimettersi e, tra i continui incubi delle formazioni azzeccate dai giornali, decide di affidarsi a un 3-5-2, con Florenzi interno di centrocampo, Jorginho titolare alla prima vera partita in Azzurro, dopo due spezzoni nel 2016 e il riesumato Gabbiadini accanto a Immobile. Di fronte alla seconda bocciatura consecutiva di Insigne iniziano a sorgere i primi dubbi, che vengono rivelati esattamente 7 giorni dopo sempre dall’emittente di Murdoch: durante il viaggio Stoccolma – Milano più di qualche giocatore aveva sottolineato al tecnico genovese l’importanza dell’esterno napoletano per il gioco della Nazionale, vista soprattutto la mancanza di tecnica della squadra. Ventura, rinfacciando l’ormai noto incontro dopo la sconfitta al Bernabèu in cui non era stato avvisato, pare avesse reagito, appunto per ripicca, non solo con la frase sopracitata, ma anche modificando la formazione, in modo tale da avere la meglio nei confronti di quelli che per lui erano considerati dei veri e propri franchi tiratori nello spogliatoio.

Il risultato di questa scelta, purtroppo, si vede fin da subito: a parte qualche occasione creata da Florenzi e Immobile, l’Italia palesa evidenti difficoltà dal punto di vista tecnico. Nessun giocatore riesce a saltare il diretto avversario e la Svezia, che approfitta dell’ennesima tattica sbagliata degli Azzurri (cross, traversoni alti), esce illesa da “San Siro”.

Era dal 1958 che la Nazionale non si qualificava al torneo più prestigioso del mondo, ma stiamo parlando di altri tempi, quando il boom economico imperversava nel Paese e quando la Democrazia Cristiana regnava incontrastata. Eh già, proprio la DC: da buoni italiani, ancorati alle tradizioni e al passato abbiamo commesso il fatale errore di non accorgerci di un ricambio generazionale ormai fin troppo evidente in tutti i vertici della Federazione, a partire dal Presidente stesso, Carlo Tavecchio, ex democristiano, neanche a farlo apposta ed uomo molto discutibile per via di alcune sue esternazioni, che forse nell’Italia della Prima Repubblica non lo avrebbero avvolto in quella nube di scetticismo creatasi dal famoso caso “opti pobà”.

L’eliminazione da Russia 2018 ora deve servire come assoluto punto di partenza: tralasciando le banali critiche ad oriundi e stranieri, mosse principalmente nel pieno stile “salviniano”, è opportuno affidare la FICG a persone competenti, rispettate nell’ambiente e in grado di trasmettere fiducia e serenità ai giocatori stessi. In un settore calcistico iper-professionistico come il nostro, è impensabile che la Lega Nazionale Dilettanti conti all’incirca il 34% dei voti per quanto rigurda l’elezione alla carica di Presidente della Federazione (altro errore da eliminare al più presto). Infine, occorrerà scegliere un allenatore con grande esperienza in campo internazionale e che sappia cogliere al meglio le opportunità offerte dal ricambio generazionale italiano: Pellegrini, Barella, Chiesa, Caldara, Rugani, Conti, Donnarumma sono solo alcuni dei nomi dei giovani italiani con un grandissimo potenziale, in grado di aiutare quelle che dovranno essere ora le colonne portanti della Nazionale (Verratti, Insigne, Immobile…).

La strada è lunga, ma i buoni propositi non mancano.

Giovanni Lupis

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