La nuova scoperta nella lotta al cancro. Orgoglio italiano (fuggito) su Nature

Correva l’anno 2000 quando, sulle pagine de La Repubblica, nei primi giorni di ottobre, compariva l’ennesimo articolo sulla fuga di cervelli italiani all’estero.

Forse, il Prof. Antonio Iavarone e la moglie Anna Lasorella, autori di quell’articolo-denuncia, non immaginavano che dopo vent’anni la situazione per gli studenti e ricercatori italiani sarebbe rimasta la stessa, anzi peggiorata.

I due lavoravano al Gemelli di Roma, presso il reparto di Oncologia pediatrica, dove portavano avanti ricerche estremamente innovative riguardo tumori pediatrici: il loro laboratorio “non aveva nulla da invidiare a quelli americani” affermava con una nota di rabbia e dispiacere Lavarone ai tempi. Fin quando, per il solito nepotismo e ostruzionismo, furono costretti a percorrere vie legali contro il primario di allora. Come è facile immaginare, nonostante la causa fu vinta, quel laboratorio non sarebbe stato più loro, e “l’esilio” oltre oceano si fece obbligatorio.

Oggi, 18 anni dopo, il gruppo di ricerca guidato dal Prof. Iavarone alla Columbia University a New York (Department of Neurology and Institute for Cancer Genetics) conta una equipe di circa 20 ricercatori, di cui 8 italiani. Stefano Pagnotta, Marco Russo, Luciano Garofano, Angelica Castano, Luigi Cerulo, Michele Ceccarelli, Anna Lasorella, Antonio Iavarone, sono loro gli italiani che hanno inaugurato il nuovo anno con la pubblicazione sulla rivista Nature di una scoperta che offre un potenziale del tutto nuovo per la terapia contro il cancro, e che apre strade finora inesplorate. Il 3 gennaio, infatti, l’articolo A metabolic function of FGFR3-TACC3 gene fusions in cancer annunciava, sulla rinomata rivista scientifica, l’avvenuta “identificazione della funzione di un’importante alterazione genetica che causa una consistente percentuale di diversi tipi di tumori, fra cui il glioblastoma, il più aggressivo e letale di quelli al cervello”. È difatti, il culmine di un lavoro che va avanti da anni, frutto di una serie di mattoncini impilati a poco a poco grazie anche all’utilizzo di tecniche complesse ed estremamente innovative, come l’analisi dei Big Data: lo studio delle sequenze genetiche dei tumori, catalogati dal progetto americano The Cancer Genome Atlas (Tcga) di cui Iavarone ricopre la carica di coordinatore per la sezione riguardante i tumori al cervello.

Scendendo più nei dettagli, già nel 2012 era stata descritta, dallo stesso gruppo di Iavarone, la fusione dei geni fgfr3-tacc3 (abbreviata f3-t3) nel 3% dei casi di glioblastoma umano. Il primo è un gene che codifica per la proteina “Fibroblast Growth Factor Receptor 3”, recettore di membrana che gioca un ruolo cardine nella regolazione della crescita, differenziazione e divisione cellulare fin nello sviluppo embrionale. Il secondo è un gene che codifica per la “Transforming Acid Coiled-coil Protein 3”, che ricopre un ruolo cardine nella generazione e regolazione del fuso mitotico durante la proliferazione cellulare.

I due geni risiedono sullo stesso braccio del cromosoma 4, ed è qui che avviene la loro fusione, dovuta ad una duplicazione in tandem (vedi figura).

Successivamente altri studi hanno riportato una simile frequenza di tale alterazione in altri tipi di neoplasie, indicando che f3-t3 è ormai da ritenere una tra le alterazioni che conferisce potere oncogenico in cellule di vari tessuti.

La novità è aver scoperto come la fusione FGFR3-TACC3 genera e fa crescere i tumori. Questa alterazione genica scatena un’attività abnorme dei mitocondri, organelli presenti all’interno della cellula che funzionano come centraline di produzione energetica. L’eccesso di energia alimenta l’impulso alla proliferazione incontrollata e all’invasione tipico delle cellule tumorali. Appurato il significato dell’alterazione, la strategia che si profila è ora quella di colpire non solo la fusione genica, ma anche la sua funzione, bloccando il metabolismo energetico, cruciale per la sopravvivenza delle cellule tumorali.

L’integrazione di inibitori classici e inibitori specifici per tale alterazione renderebbe la terapia oltre che più efficace, anche mirata in quei casi in cui è presente l’alterazione in questione. Sono in atto sperimentazioni cliniche con farmaci «bersaglio» all’ospedale Pitié Salpetrière di Parigi, dirette dal prof. Marc Sanson, coautore dello studio di Iavarone. I primi risultati dei test su cellule tumorali in coltura e nei topi mostrano che si può interrompere la produzione di energia e fermare la crescita tumorale.

L’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano potrebbe partecipare alle nuove sperimentazioni. “Da tempo sono in contatto con i suoi ricercatori – dice Iavarone – per questioni burocratiche e regolamentari non è stato possibile trasferire rapidamente le nostre sperimentazioni cliniche anche in Italia, spero che dopo la pubblicazione su Nature dello studio si riesca presto a lavorare insieme”.

Iavarone, intervistato in questi giorni, ha dichiarato di sentirsi ancora italiano a tutti gli effetti, e che avrebbe voluto conseguire questo traguardo in Italia, così da contribuire al prestigio del proprio Paese. Il professore, a onor del vero, era stato chiamato, ai tempi del governo Monti, per prendere parte alla rifondazione della ricerca in Italia, ma di quel periodo ricorda solo “tante riunioni, importanti conferenze e nulla di concreto”. La sua visione non è totalmente pessimista, auspica che si realizzi il tanto chiacchierato Human Technopole, l’infrastruttura multi-disciplinare lanciata all’EXPO di Milano, che avrebbe come obbiettivo quello di rilanciare l’Italia nel settore delle biotecnologie, della medicina molecolare e genica, e della bio-informatica, e ancor di più spera nella realizzazione di uno Human Technopole del Sud, da cui proviene.

“Il mio sogno -rivela infine Iavarone al Corriere- è quello di proiettare l’Italia tra i primi Paesi al mondo nel settore della ricerca dei big data, della medicina personalizzata e dell’oncologia. Un sogno, certo. Ma la vita mi ha insegnato che tutto è possibile”.

Antonio Nuccio

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