Said Mechaouat: killer di Stefano Leo, libero per errore

L’omicidio di Stefano Leo, avvenuto lo scorso sabato 23 febbraio lungo i Murazzi, zona degli argini del Po a Torino, risulta ancora più ingiusto alle luce delle nuove notizie.

 

 

Leo, giovane di Biella, 34 anni, era uscito di casa come ogni giorno per andare al lavoro, nessuno avrebbe potuto sospettare il tragico epilogo verificatosi.

L’assassino e Stefano non avevano mai avuto nessun tipo di rapporto prima della vicenda.

Tutto è avvenuto in una zona centrale , in cima al viale pedonale di Lungo Po Machiavelli, dove Said affiancandosi a Stefano lo ha accoltellato, sgozzandolo senza nessun perché.

Ciò che ha lasciato in sgomento la città e non solo, è stato il movente del reo, il quale avrebbe dichiarato  a verbale:

volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti”.

 

 

Risulta davvero inaccettabile che un ragazzo possa perdere la vita senza una ragione di fondo, e ancor di più la questione si aggrava alle luce delle nuove notizie le quali dimostrano che a carico di Said Mechaouat, 27 anni di origine marocchina, sarebbe dovuto essere in carcere, con sentenza definitiva, poiché era stato condannato a un anno e sei mesi per maltrattamenti in famiglia.

La condanna di primo grado era stata firmata dal giudice Giulia Casalegno lo scorso 20 giugno 2016; a Said inoltre era stata negata la possibilità di ottenere la condizionale per via dei suoi precedenti.

Stando a quanto detto da fonti interpellate dall’ANSA, ci sarebbe stato un intoppo nella trasmissione dei documenti dalla Corte d’appello alla procura presso il tribunale: la procura di Torino non avrebbe ricevuto la comunicazione della corte d’appello di quanto avvenuto, da qui si sarebbe verificata l’impossibilità dell’esecuzione della sentenza.

Inoltre non era la prima volta che a Torino le luci fossero puntate sulla corte d’appello.

Nel corso degli anni si sono ripetuti diversi ritardi a causa della quantità di fascicoli e della scarsità del personale: come quello avvenuto nel febbraio del 2017, dove i magistrati chiesero pubblicamente scusa al popolo, in piena udienza, perché un fascicolo per violenza sessuale era caduto  in prescrizione.

Ciò che ad oggi fa più rabbia è che un giovane di 34 anni, senza avere nessuna colpa, abbia perso la vita solo per l’infelicità e il comportamento agghiacciante di un altro individuo, il quale se non fosse stato per un ritardo nella trasmissione, probabilmente commesso dalla Cancelleria della Corte d’appello di Torino, sarebbe già in carcere e forse Stefano sarebbe qui con noi.

 

Eleonora Genovese

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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