Tumori: è possibile farli “morire di fame”?

La ricerca percorre ogni giorno strategie diverse nel tentativo di sconfiggere il cancro. Un passo in avanti molto promettente è emerso da un ragionamento tanto intuitivo quanto efficace: perché non sfruttare il modo in cui il tumore si nutre per combatterlo? 

Sebbene esistano innumerevoli tipologie di tumori, esistono caratteristiche ben definite che le accomunano. 

Tali caratteristiche permettono la cosiddetta progressione tumorale. Il tumore riesce nel tempo a diventare più invasivo, resistente sia al sistema immunitario che alle terapie, acquisendo sempre maggiore malignità. Ciò è permesso dalla eterogeneità delle cellule tumorali che mutano continuamente, per cui anche se molte cellule effettivamente non sopravvivono, altre sfuggono a ogni controllo e continuano a moltiplicarsi. Ma svolgono un ruolo centrale anche particolari alterazioni metaboliche. 

Già nel 1924 Otto Heinrich Warburgpremio Nobel nel 1931, postulò la cosiddetta ipotesi di WarburgDi norma, in base alla disponibilità di ossigeno, le cellule sfruttano due vie metaboliche per tratte energia: in condizioni di aerobiosi prediligono la fosforilazione ossidativa; in condizioni di anaerobiosi sono costrette a ricorrere alla glicolisi e alla fermentazione lattica. Secondo l’effetto Warburg, caratteristica chiave della cellula tumorale è quella di prediligere la glicolisi aerobia 

Sono state avanzate due spiegazioni per tale comportamento: 

  • Man mano che il tumore cresce, in stadi precoci in cui si ha scarsa vascolarizzazione, le cellule tumorali si trovano in condizioni più o meno gravi di ipossia, per cui sopravvivono le cellule che prediligono la glicolisi; tali modifiche diventerebbero permanenti anche ristabilendo la normossia. 
  • Un’ipotesi più recente si basa sull’idea che la cellula tumorale ha come unico scopo quello di moltiplicarsi, e per farlo deve sintetizzare DNA, RNA, organelli cellulari, per cui necessita non solo di energia, ma di intermedi del metabolismo da cui ottenere lipidi, proteine e acidi nucleici. La glicolisi, pur fornendo meno energia (sotto forma di molecole di ATP) rispetto alla fosforilazione ossidativa, fornisce gli intermedi necessari alla sintesi di tutti i componenti cellulari. 

Quindi la cellula tumorale, sebbene possa attuare anche la fosforilazione ossidativa, è strettamente dipendente dal glucosio. 

Proprio su queste caratteristiche peculiari delle cellule tumorali si è concentrata la ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Cancer Cell, coordinata da Saverio Minuccidirettore del Programma Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia, e sostenuta dalla Fondazione AIRC. 

Era già noto che la restrizione calorica e il cosiddetto intermittent fasting, ovvero il digiuno intermittente, fossero degli approcci utili per contrastare la crescita tumorale e per incrementare l’efficacia dei trattamenti chemioterapici.
Tuttavia, la restrizione calorica causa spesso eccessiva perdita di peso, nausea, disordini della riparazione delle ferite e del sistema immunitario; mentre l’intermittent fasting non ha particolari effetti collaterali e anzi, protegge da alcuni effetti tossici dei chemioterapici. 
Inoltre, il metabolismo energetico delle cellule tumorali può essere bersagliato tramite la metformina, farmaco diffusamente utilizzato nel trattamento del diabete di tipo 2: essa contrasta e rallenta la fosforilazione ossidativa, deviando l’utilizzo del glucosio verso la glicolisi.  

Basandosi su ciò, i ricercatori hanno architettato un esperimento su topi, nei quali sono state impiantate cellule di melanoma prelevate da pazienti, suddividendo diversi gruppi: 

  • Due gruppi di topi non sono stati sottoposti a restrizioni alimentari; di questi, uno è stato sottoposto a trattamento con metformina. 
  • Tre gruppi sono stati sottoposti a intermittent fasting, con periodi di digiuno di 24 ore; di questi, due gruppi sono stati trattati con metformina, di cui uno nei periodi di digiuno, l’altro nei periodi di alimentazione. 

Tale organizzazione ha permesso di valutare l’efficacia dei trattamenti combinati, anche con tempistiche diverse. Il tutto paragonato a topi “controllo” sottoposti a trattamento singolo o non trattati. 

Il digiuno intermittente è risultato efficace nel ridurre i livelli di glucosio a livello del tumore, a conferma di precedenti studi; la metformina, da sola, non ha mostrato effetti rilevanti. 
Il risultato più importante è stata la grave compromissione della crescita tumorale nei topi soggetti a entrambi i trattamenti, indicativa dell’effetto anti-proliferativo della metformina, specialmente se somministrata durante i periodi di ipoglicemia. 

Ulteriori studi su colture cellulari hanno spiegato che sono proprio i bassi livelli di glucosio a sensibilizzare le cellule all’azione citotossica della metformina, da cui l’efficacia del loro sinergismo. Intuitivamente si comprende che, riducendo i livelli di glucosio, la cellula tumorale si trovi costretta a deviare dalla glicolisi verso la fosforilazione ossidativa, e poiché la metformina antagonizza proprio tale via metabolica l’ipoglicemia è una premessa fondamentale per renderla efficace. In sostanza, in condizioni di ipoglicemia la metformina attiva un complesso meccanismo intracellulare che sfocia nell’apoptosi o morte programmata della cellula tumorale. 
Di seguito i dettagli molecolari per gli interessati. 

 

Per comprendere quali fossero gli attori molecolari in gioco, i ricercatori hanno inibito diversi enzimi studiando le conseguenti risposte cellulari. L’enzima chiave si è rivelato essere la glicogeno sintasi chinasi 3β (GSK3β) che, se inibita, rendeva le cellule resistenti al trattamento. È stato ipotizzato che la combinazione di basso glucosio e metformina fosse responsabile della mancata fosforilazione di questo enzima, con la sua conseguente iperattivazione.  

La GSK3β è coinvolta nella regolazione della sintesi proteica, della proliferazione e differenziazione cellulare e dell’apoptosi. La sua iperattivazione porta all’incremento della degradazione di MCL-1, una proteina anti-apoptotica; quindi nel complesso viene favorita l’apoptosi. 

Inoltre, gli studiosi hanno identificato la proteina responsabile della defosforilazione e quindi attivazione della GSK3β: si tratta di PP2A, una fosfatasi, la cui assenza, così come l’inibizione della GSK3β, rende le cellule resistenti al trattamento. I bassi livelli di glucosio incrementano l’attività di PP2A influenzandone una subunità regolatoria. Inoltre, PP2A è inibita dalla proteina CIP2A: quest’ultima è il bersaglio della metformina, che ne riduce i livelli aumentandone la degradazione. 

Quindi la combinazione di bassi livelli di glucosio e metformina permette sinergicamente l’attivazione di PP2A, che attiva GSK3β, la quale riduce i livelli di MCL-1 portando alla morte della cellula. Tutto questo è stato infine confermato non più su colture in vitro ma sui topi in vivo. 

Tali risultati sono estremamente promettenti, ma rimangono incognite l’efficacia sull’uomo e l’entità reale della riduzione della crescita del tumore. 
Inoltre, esistono tumori in cui i componenti dell’asse molecolare PP2A-GSK3β-MCL-1 o altre proteine che con essi interagiscono sono alterati, determinando una probabile insensibilità al trattamento: in pratica, non tutti i pazienti rispondono alla metformina. 

In ogni caso, afferma Minucci: “Siamo nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici, e questo passaggio così rapido è molto raro nel passaggio dalla ricerca di base alla clinica, ed è per noi motivo di grande soddisfazione e di aspettativa per gli sviluppi futuri”. 

Non resta che attendere, con orgoglio del forte contributo italiano, gli sviluppi di una ricerca che fa davvero ben sperare.  

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610819301527?via%3Dihub 
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5095922/
 

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