Il ruscello

Viveva un tempo un uomo che era il suo naso.

Abitava di fronte casa mia: ricordo ancora come, da bambini, mia sorella mi chiamasse alla finestra ogni volta che lo vedeva uscire.

Sedevamo insieme ad osservarlo allontanarsi goffamente, in silenzio, coi nostri occhi colmi di stupore. Qualche volta capitava che alzasse lo sguardo alla nostra finestra, e allora noi subito ci ritraevamo, intimoriti ed eccitati.

Fu così che una sera, quando mio padre e mia madre già dormivano, notai un movimento provenire dalla casa di fronte: il portone si dilatò con sofferta lentezza per espellere infine il povero naso.

Un pastrano marrone lo avvolgeva in tutta la sua bizzarra estensione. Non chiamai mia sorella, ma uscii facendo attenzione a non essere sentito. Fuori aveva fatto neve.

Seguii quell’uomo lungo la strada, camminando a debita distanza in modo che non potesse vedermi né sentirmi. Claudicando, giunse nei pressi del ruscello, e spogliatosi dell’enorme pastrano si chinò sull’acqua ghiacciata.

Incuriosito e – lo ammetto – un po’ turbato, mi avvicinai per osservare meglio quella creatura che Dio, per bilanciare l’energia adoperata per concepire chissà quale bellezza, aveva deciso di aggregare in tale assurda conformazione. A un tratto sentii che piangeva.

Il suono di quel pianto si mescolava aspramente al freddo gelido, dilatandosi nello spazio come un’eterea sinestesia di dolore. Senza rendermene conto, mi avvicinai troppo, e non appena mi vide trasalì. Afferrò il pastrano e se lo gettò addosso per nascondersi.

Mi chiese con voce bassa chi fossi, così gli risposi che lo avevo spiato allontanarsi da casa e che lo avevo seguito. Non mi sembrò infastidito, così mi azzardai a chiedergli come mai uscisse col freddo a quell’ora e perché piangesse.

Timidamente, il naso mi rispose che in quel luogo, più che in altri, era possibile misurare un uomo soltanto dalla profondità delle sue malinconie. Tornai a casa facendo attenzione a non destare la mia famiglia. Il giorno dopo mi svegliai. Quell’uomo non abitava più di fronte casa mia.

Fabrizio Bella

di Redazione UniVersoMe

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