Scoperto il primo farmaco specifico contro il Sars-CoV-2

Il Sars-CoV-2 ha sconvolto di punto in bianco la quotidianità del mondo, Stato per Stato e continente per continente. E se inizialmente le news che le varie testate giornalistiche riportavano erano poco rassicuranti ed i numeri delle casistiche erano neri come poche altre pandemie nella storia, adesso sono sempre di più i titoli che riportano notizie incoraggianti su diversi approcci terapeutici nella gestione della malattia. Ricerca che corre parallela a quella per un vaccino, indispensabile per garantire che, chi non sia stato fino ad ora contagiato, non lo sia nemmeno in futuro.

A che punto siamo

Fino ad ora le conoscenze sul SARS-CoV-2 sono aumentate esponenzialmente e di pari passo anche ai singoli approcci terapeutici. Avevamo già visto come primo baluardo l’uso del Tocilizumab, del Remdesevir, per poi passare all’eparina e concludere con una disamina di tutte le terapie sperimentali fino ad ora approvate in Italia. Tutti protocolli studiati (alcuni ancora in corso di studio) che hanno fatto ben sperare ed hanno dato risultati evidenti.

Prendere dei farmaci “in prestito” da altre patologie con le quali, la Covid-19, condivide il forte substrato immunogeno, ci ha permesso di attuare una resistenza attiva al virus e di limitare la mortalità entro certi range che altrimenti sarebbero stati di molto peggiori.

Poco però, fino a questo momento, si era riuscito a fare nella messa a punto di un farmaco specifico per il SARS-CoV-2.

La svolta

Negli scorsi giorni è stato raggiunto un nuovo traguardo, tra i più rilevanti, e cioè l’introduzione del primo anticorpo monoclonale umano altamente specifico per il Coronavirus. Si tratta un di un anticorpo prodotto artificialmente, che però presenta la stessa struttura e gli stessi meccanismi d’azione delle immunoglobuline (=anticorpi) prodotte fisiologicamente dai pazienti infetti, fondamento della recente terapia con il plasma.

Esemplificazione dell’interazione anticorpi (in viola) proteine spike del Coronavirus (in rosso). – Claudia Di Mento©

Il suo nome è 47D11 e potrebbe essere considerato il primo trattamento antivirale specifico per la Covid-19. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, conferma il lavoro condotto precedentemente dallo stesso autore Berend-Jan Bosch e dal suo team pubblicato su BioRxiv.

Per interferire con l’organismo umano, il virus richiede l’interazione di alcune proteine trimeriche di superficie, dette Spikes, con il recettore cellulare ACE2. La proteina Spike presenta una porzione S1, che si occupa del legame, ed una porzione S2 che si occupa della fusione della membrana del virus con la membrana cellulare dell’ospite.

In particolare è a carico della regione S1 che si trova il Receptor Binding Domain (RBD) che è il target dell’immunoglobulina artificiale. Bloccare questo sito, significa impedire il legame del SARS-CoV-2 e determinare l’impossibilità di quest’ultimo di infettare nuove cellule. Si tratta del primo risultato scientifico in grado di bloccare il virus all’opera.

In basso vediamo come i topi che presentano produzione anticorpale riescano ad inibire il legame della proteina spikes al recettore ACE2. Fonte:https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867420302622

Ma lo studio non si è limitato solo a questo. Gli esperti hanno infatti confrontato altri membri della famiglia Coronaviridae, in particolar modo SARS-CoV e MERS-CoV. Sappiamo che tra questi ed il nuovo SARS-CoV-2 esistono numerose analogie in determinate regioni geniche.

47D11 lega una regione che è altamente conservata (RBD), spiegando così la sua capacità di neutralizzare in modo crociato sia il SARS-CoV, che SARS-CoV-2. Si rende perciò possibile anche uno scopo terapeutico nei confronti della famosissima SARS del 2003. Per la MERS, invece, i risultati sono stati contrari.

Ma queste scoperte non dovrebbero stupire più di tanto, in quanto Berend Jan Bosch non è infatti nuovo al mondo della ricerca in questo campo, avendo già studiato da vicino la SARS ed avendo con sé un background di tutto rilievo. Che abbia trovato la via più rapida per risolvere il problema contemporaneo?

Si noti l’affinità di 47D11 con SARS-CoV e SARS-CoV-2, ma non con MERS-CoV. Fonte: https://www.nature.com/articles/s41467-020-16256-y

Conclusioni

La domanda che tutti si pongono è: è forse il primo passo concreto verso una cura specifica? Probabilmente sì. I test, eseguiti in atto solo su cellule in coltura, fanno ben sperare e l’utilizzo sull’uomo non sembra poi così lontano.

Ma il potenziale di 47D11 non si limita solo alla cura dei soggetti affetti, si stanno vagliando infatti anche le ipotesi che possa essere utilizzato per i tanto richiesti test sierologici, ma soprattutto che possa essere sfruttato per la messa a punto di un vaccino efficace. Trattandosi infatti di un anticorpo umano, riduce di molto eventuali rischi nel suo utilizzo e soprattutto i tempi di preparazione, che non tengono conto del passaggio da specie intermediarie, come ad esempio i topi nel caso degli anticorpi chimerici.

Insomma, sembrerebbe solo questione di tempo. Che si riescano a prendere due piccioni con una fava?

                                                                                                                            Claudia Di Mento

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