Tutti abbiamo avuto modo di percepire gli effetti sociali del Coronavirus.
È cambiato il modo di fare la scuola e l’università, lo smart working ha rivoluzionato il mondo del lavoro e le regole di distanziamento sociale hanno ridefinito il concetto di rapporto umano.
Tutti i contesti che viviamo hanno subito il cambiamento, e tutti hanno trovato un adattamento alla situazione difficile.
Possiamo dire lo stesso per i media?
Il sistema d’informazione è un’eccezione: non si è fermato come gli altri settori, e anzi sembra aver incrementato la sua attività.
Ma in che modo i media sono riusciti a raccontarci cosa è accaduto? Come hanno affrontato l’argomento ‘Coronavirus’?
La narrazione della malattia è stata pandemica, anzi infopandemica.
La massmediologia e la sociologia dei Mass media spiegano quali sono stati gli elementi strutturali dietro tale narrazione.
Perchè c’è stato tanto allarmismo all’inizio
Ricordiamo tutti gli assalti ai supermercati prima del lockdown.
Qual è stata la ragione? Come si diffonde l’allarmismo?
Noi persone normali, non competenti del settore virologico, abbiamo appreso del pericolo attraverso i media.
La narrazione mediatica dell’emergenza è stata martellante e continua, il Covid è stato l’unico argomento dei telegiornali per molto tempo.
Molto spesso i toni sono stati allarmanti e, anche involontariamente, diffusori di panico.
Inoltre il ruolo peggiore è stato giocato dalle fake news. Abbiamo vissuto una sovrabbondanza di informazione e in contesti simili non è facile distinguere cosa sia vero o falso.
D’altra parte gli stessi giornali, scrivendo quasi in tempo reale, non sempre verificavano l’attendibilità di una fonte.
Molti articoli hanno raccontato supposizioni e opinioni personali, precipitando nell’inverosimile.
L’informazione non verificata è quella che ha prodotto maggiori danni in questa narrazione, generando confusione e sovraccario nel pubblico.
Perchè le dinamiche della malattia sono diventate quasi più interessanti di Netflix
Ma come è stato raccontato il Coronavirus, praticamente?
Il racconto mediatico della malattia ha seguito due logiche.
La prima è quella dell’Informotion (information + emotion).
La diffusione di una malattia contagiosa è già di per sè emotivamente sconvolgente; se viene raccontata cercando di far leva sull’aspetto emotivo i risultati possono essere disastrosi.
I servizi dai toni sensazionalistici, la martellante conta dei morti e dei contagi, la diffusione delle immagini di città deserte o ancora le bare trasportate dall’esercito.
Questi alcuni esempi di informazione emotiva.
L’altro criterio è l’Infotainment (information + entertainment).
L’informazione a proposito del Covid è stata legata all’intrattenimento.
L’ascolto delle storie di chi si è ammalato, di chi viveva nell’allora zona rossa, le polemiche su come gestire la situazione.
È diventato tutto uno show, ogni servizio o intervista è diventata la puntata di una serie tv.
C’è stata una spettacolarizzazione della malattia.
Come “difendersi” da narrazioni così strutturate?
La narrazione mediatica del Covid-19 ha generato non pochi effetti negativi.
L’esposizione prolungata ai racconti con questi elementi strutturali potrebbe danneggiarci a livello psicologico ed emotivo, rendendoci paranoici e meno responsivi al reale pericolo.
Maratone di servizi, articoli e show emotivamente inquinanti producono un overload informativo, ma avere più informazione non corrisponde a maggiore conoscenza.
Angela Cucinotta