Scheletri nel sito di Ercolano

Ercolano, neuroni di duemila anni fa in un cervello di vetro. La scoperta tutta italiana

Parco archeologico di Ercolano

Nuove spettacolari scoperte a Ercolano

Un cervello di vetro. Non stiamo parlando di un film di fantascienza, ma di una scoperta sensazionale avvenuta ad Ercolano, sito unico nel suo genere insieme alla vicina Pompei. Una scoperta fatta grazie alla ricerca condotta in sinergia tra l’Università Federico II di Napoli e altre università italiane, la Statale di Milano e Roma Tre, e alcuni istituti di ricerca nazionali, come il Cnr e il Ceinge. Un gruppo di ricercatori di alto profilo, costituito non solo da archeologi, ma anche da geologi, biologi, medici legali, neuro genetisti e matematici, guidato dall’antropologo forense Pier Paolo Petrone della sezione dipartimentale di medicina legale della Federico II. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla celebre rivista di settore Plos One a gennaio scorso, ma ora, ulteriori scoperte sono state fatte.

Scheletri nel sito di Ercolano

L’inizio della ricerca tutta italiana

Tutto ha avuto inizio alla fine del 2018, quando un team di ricercatori italiani effettuò un sopralluogo nel Parco archeologico di Ercolano. Tra i resti di una vittima della più famosa eruzione della storia, quella del Vesuvio del 79 d.C., sono stati ritrovate, incredibilmente, minuscoli brandelli di cervello, nei quali sono rimasti integri dei neuroni  e dunque visibili tramite la microscopia elettronica a scansione (SEM) e strumenti avanzati di elaborazione delle immagini. I resti studiati appartengono a quello che doveva esser stato il “custode” del Collegio consacrato al culto di Augusto, un edificio religioso dell’antica Ercolano, il quale probabilmente è stato colto dall’eruzione mentre dormiva. Il ritrovamento di tessuti celebrali di uomini antichi è un avvenimento molto raro, ma in questo caso siamo di fronte a qualcosa di unico. Uno shock termico avrebbe causato la morte dell’uomo (dunque non per soffocamento) e la trasformazione in vetro di quel che è rimasto del suo sistema nervoso centrale. Proprio così: parti del sistema nervoso dell’uomo si sono conservate fino ad oggi sotto forma di vetro.

Il Collegio degli Augustali

La lava, la causa dello strano fenomeno

Il calore estremo della lava del Vesuvio avrebbe vaporizzato i tessuti molli del corpo e il successivo, netto abbassamento delle temperature avrebbe permesso al cervello di “vetrificare” come avviene talvolta con i resti delle piante. Il dottor Petrone a tal proposito spiegato che un vero e proprio processo di “vetrificazione”, innescato dall’eruzione, ha “congelato” le strutture cellulari, dunque i neuroni, del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte. La “vetrificazione” è una tecnica che viene usata in medicina per la conservazione di cellule, poiché permette di preservarle nel tempo senza danni strutturali. In questo caso ci ha pensato la natura. I tessuti che subiscono tal processo diventano scuri, lucidi e duri come ossidiana, un vetro vulcanico che si forma per il rapidissimo raffreddamento della lava. È con questo aspetto che li ha trovati il gruppo di lavoro di Petrone. Non solo frammenti di cervello, ma anche di midollo spinale, che hanno rivelato l’impensabile.

“Un intero sistema nervoso centrale umano di duemila anni fa, un mondo ultra microscopico fatto di neuroni e di assoni – ha detto il professore – trovati ad un livello di dettaglio incredibile.”.

Importanti informazioni sono state ottenute anche grazie all’osservazione delle proteine individuate nei resti, e lo studio dei geni che codificano per quelle proteine, ottenendo ulteriore conferma che, quel vetro scuro ritrovato tra i resti, era, in realtà, materiale cerebrale, come chiarito dalla neuro genetista presso l’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli, Maria Pia Miano.

Uno dei neuroni ritrovati

Non solo archeologia

Gli studi hanno fornito importanti informazioni anche sulle dinamiche della stessa eruzione, come spiegato dal docente ordinario di Vulcanologia della Federico II, Guido Giordano:

“Le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che dà chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell’eruzione.”.

La cooperazione tra vari esperti è stato un contributo importantissimo per la ricerca che sta riportando alla luce particolari inaspettati sugli ultimi istanti di vita degli antichi abitanti dell’area vesuviana, utili per capire di più sul futuro della stessa e su come prevenire o limitare i danni di una eventuale nuova eruzione del vulcano, a cui sarebbero esposte circa tre milioni di persone.

Il Vesuvio

 

Rita Bonaccurso

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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