Convenzione di Faro: l’Italia va verso la multiculturalità, ma la destra si oppone. Ecco cosa prevede

Il 24 settembre 2020 l’Italia ha compiuto un grande passo avanti: il Parlamento ha ratificato la Convenzione di Faro. La strada verso un nuovo concetto di eredità culturale, in cui si intrecciano identità, democrazia e multiculturalismo, può dirsi aperta.

Fare della cultura la protagonista di una discussione in Parlamento, in una società fondata sempre più sul dio denaro e sulla burocrazia, è sicuramente singolare e, per tale ragione, da mettere sotto i riflettori.

Che cos’è la Convenzione di Faro

Si tratta di una convenzione emanata dal Consiglio Europeo che riconosce il diritto alla partecipazione al patrimonio culturale. Sostiene l’articolo 4:

“Chiunque, da solo o collettivamente, ha diritto a trarre beneficio dall’eredità culturale e a contribuire al suo arricchimento”.

Il ponte di Mostar ricostruito – Fonte: www.dagospia.com

Venne approvata nel 2005 nella città portoghese di Faro con l’intenzione di fare della cultura uno strumento di pace in linea di pensiero con le Convenzioni UNESCO del 2003 sulla protezione del patrimonio culturale immateriale e la promozione della diversità delle espressioni culturali.

Il retroterra storico è rappresentato dalla guerra combattuta tra i paesi dell’ex Jugoslavia dal 1991 al 2001, durante la quale ricchezze del patrimonio culturale, come il ponte di Mostar o la Biblioteca di Sarajevo, vennero distrutte, in quanto simbolo della storia e dell’identità dell’etnia da debellare.

I cambiamenti determinati dalla Convenzione di Faro

Il valore della cultura, con la Convenzione, non fa ingresso per la prima volta nei documenti istituzionali dello Stato italiano. Lo stesso articolo 9 della Costituzione dichiarava già che

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Dunque, per quale ragione la Convenzione è da considerare un testo rivoluzionario? La rivoluzione è insita nel concetto di eredità culturale affermato:

“L’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”.

Patrimonio di uno Stato non sono più le risorse materiali considerate come ricchezze aventi valore in sé, piuttosto come lo specchio in cui i cittadini vedono riflessi la loro identità, i loro valori e la loro storia. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana che muta il perno sul quale ruota il concetto di cultura: dal bene storico all’uomo e alle sue possibilità d’uso di tale bene. Come ha spiegato Massimo Montanella, direttore della rivista Il Capitale Culturale, siamo di fronte

ad un profondo rovesciamento complessivo: dell’autorità, spostata dal vertice alla base; dell’oggetto, dall’eccezionale al tutto; del valore, dal valore in sé al valore d’uso e, dunque, dei fini: dalla museificazione alla valorizzazione.

Fare dell’individuo il fondamento della cultura non è cosa di poco conto: significa democratizzarla. La Convenzione si impegna infatti a facilitare l’accesso alla fruizione delle ricchezze culturali. Questo emerge chiaramente dall’articolo 12:

Le Parti si impegnano ad incoraggiare ciascuno a partecipare al processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione dell’eredità culturale

e dall’articolo 13:

 “Le Parti si impegnano a facilitare l’inserimento della dimensione dell’eredità culturale in tutti i livelli di formazione, non necessariamente come argomento di studi specifico, ma come fonte feconda anche per altri ambiti di studio”.

La Convenzione di Faro e le polemiche della destra

L’iter verso la ratifica non è stato privo di ostacoli. In testa all’opposizione si sono posti la Lega e Fratelli d’Italia.

Le destre, subito dopo l’approvazione, hanno fatto sentire la loro voce, definendo la Convenzione una resa per l’Italia, il “Caporetto di una civiltà”, “una svendita del nostro patrimonio artistico all’Islam”, una limitazione alla fruizione delle nostre ricchezze culturali.

Il principale oggetto di contestazione è stato l’articolo 4, secondo il quale

l’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”.

Agli occhi delle destre, questo provvedimento rappresenterebbe un ostacolo al libero esercizio della cultura, dando agli altri Stati la possibilità di interferire con l’uso del nostro patrimonio artistico.

Hassan Rouhani e Sergio Mattarella – Fonte: www.mosaico-cem.it

A sostegno della loro tesi, alcuni degli oppositori, tra i quali Vittorio Sgarbi, hanno portato come esempio un avvenimento risalente al 2016 quando, in occasione della visita in Italia del presidente iraniano Hassan Rouhani, Palazzo Chigi ha deciso di coprire i nudi dei Musei Capitolini. La legge morale iraniana sciita, infatti, proibisce il nudo femminile.

Tale scelta, sicuramente per alcuni aspetti contestabile, non ha niente a che vedere con la Convenzione di Faro, il cui articolo 4 non fa altro che ribadire, come già affermato in diversi articoli della Costituzione italiana, che la libertà del singolo individuo può essere limitata nel momento in cui lede l’interesse pubblico e la libertà dell’altro. Un esempio potrebbe essere la chiusura dei musei a causa dell’emergenza Covid.

L’Islam non viene minimamente menzionato dalla Convenzione. Non è menzionata la coercizione. Non è menzionata alcun tipo di resa culturale. L’obiezione della destra sembra far acqua da tutte le parti, sembra essere priva di fondamento. L’ennesimo esempio di come la politica, in vista del consenso, strumentalizzi le differenze culturali portando avanti sterili polemiche.

Basta leggere il testo, soprattutto l’articolo 7, per comprendere che la Convenzione non vuole porre limiti alla libertà culturale, piuttosto promuovere, in una società composita e variegata, la comunicazione tra i diversi valori e le diverse comunità espressione della medesima eredità culturale.

 Il multiculturalismo nell’enciclica di Papa Francesco

Papa Francesco – Fonte: www.vocetempo.it

Una risposta forte alla contestazione delle destre, in linea di pensiero con quanto espresso dalla Convenzione, sembra provenire dall’ enciclica Fratelli tutti, firmata da Papa Francesco il 3 ottobre, soltanto qualche giorno dopo la ratifica della Convenzione di Faro. Un testo attualissimo che ribadisce la necessaria universalità di ogni identità culturale, che è nata, si arricchisce ed è alimentata dalla continua interrelazione delle diverse culture.

Una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie. Questo provoca la nascita di una nuova sintesi che alla fine va a beneficio di tutti”.

Le parole incisive del papa zittiscono le destre affermando la necessità del multiculturalismo e l’unità di tutto il genere umano:

“Ci sono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. Nascondono uno spirito chiuso che, per una certa insicurezza e un certo timore verso l’altro, preferisce creare mura difensive per preservare se stesso. Ma non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli. […] Ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che una cultura senza valori universali non è una vera cultura”.

Chiara Vita

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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