La Casa Bianca ha annunciato il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, durante il ventesimo anniversario dall’attacco alle Torri Gemelle.
Il Presidente Joe Biden ha scelto come data simbolica per la smobilitazione dell’esercito americano dalle aree afghane l’11 settembre 2021, esattamente dopo vent’anni dall’attacco terroristico del gruppo Al Qaeda. Si porterebbe così a termine della guerra più lunga che ha visto coinvolta la storia del Paese a stelle e strisce.
I rapporti durante il ventennio tra Stati Uniti e Afghanistan
Il Governo americano ha deciso così di far coincidere il rimpatrio dei 2500 soldati rimasti in terra straniera, con l’anniversario della strage compiuta da Al Qaeda. Questa, guidata dal miliardario Osama Bin Laden, durante gli anni 80 si proponeva come organizzazione terrorista che promuoveva la guerriglia islamica contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, ma che negli anni 90 ha mutato la sua fisionomia. Si è così modellata in un’alleanza con i taliban afghani, che li supportavano con protezioni e appoggi, incentrando la propria iniziativa di terrore contro l’Occidente e più specificamente mirando agli Stati Uniti, cuore del liberismo e dell’occidentalizzazione.
La suddetta coalizione, volta a compiere atti epurativi, sarà la mera esecutrice degli attacchi compiuti a New York e a Washington, in cui persero la vita circa 3mila persone.
L’amministrazione statunitense, capeggiata in quegli anni dal repubblicano Gerge W. Bush, ha risposto disfacendo il regime talebano afghano, senza però riuscire a distruggerlo del tutto.
Ecco che nel corso di questo ventennio i rapporti tra i due Stati si sono plasmati, espandendosi a livello globale e inaugurando l’era dell’anti terrorismo. È stato così predisposto un processo di costruzione di un ordinamento statuale democratico che prende il nome di “national building”. L’obiettivo principale che si proponeva l’esercito americano era di “corto respiro”, altresì si mirava a:
- Liquidare il regime talebano;
- Distruggere le basi di Al Quaeda;
- Impedire a Osama Bin Laden di utilizzare l’Afghanistan come quartier generale delle sue operazioni terroristiche.
Risulta, perciò, chiaro come il national building sia intrinseco del significato di fornire assistenza alla costruzione di un Governo stabile che si discosti dalla filosofia politica dei neoconservatori, avviando processi che puntino alla democratizzazione e all’introduzione dei diritti per le donne. I risultati che si sperava di ottenere non vennero raggiunti a seguito della metamorfosi, che sembrava aver raggiunto la spedizione del contingente militare straniero. Questo prendeva le vesti di invasore, per la crescita spropositata di soldati americani nelle terre afghane.
Il ritiro dei soldati: pareri discordanti
Il tema della smilitarizzazione dell’Afghanistan dalle truppe americane è stato enormemente analizzato nel corso degli anni, ma che ha visto idee stridenti e divisive.
Durante le presidenze precedenti, sia quella di Barack Obama che di Donald Trump – a causa dei ripetuti conflitti che i gruppi talebani facevano riaffiorare e per la conseguente instabilità governativa che il Paese orientale subiva – hanno fatto sì che tale progetto venisse più volte rimandato.
Fonti ufficiali statunitensi hanno annunciato che l’ex Capo di Stato Repubblicano ha ottenuto un negoziato con i talebani, a febbraio 2020. Tale accordo si è concluso ponendo fine degli attacchi talebani e rassicurando che l’Afghanistan non sarebbe più stata la terra di protezione e rifugio di cellule terroristiche, decisione che si sarebbe mantenuta solo se gli Stati Uniti, a loro volta, avessero allontanato le truppe entro il 1° maggio 2021. In un clima così teso non mancavano altresì i dubbi sull’effettiva realizzazione del concordato, sia per la fluidità in politica estera di Trump, sia per la difficoltà mostrata dal neo Presidente di organizzare l’operazione in tempi molto miseri, facendo pensare a una probabile posticipazione della data fissata dal suo predecessore.
“Sarà difficile rispettare quella scadenza del primo maggio. Solo in termini di ragioni tattiche, è difficile far uscire le truppe. E se lasceremo, lo faremo in modo sicuro e ordinato.”
Il nuovo termine di Joe Biden: i rischi
Duramente criticato è stato il democratico Biden, per aver promosso un’azione definita irresponsabile e irrealista. I timori espressi da alcuni membri del Congresso si fondano sulla mancata analisi bellica che negli ultimi tempi ha visto incrementare una progressiva affermazione talebana in Afghanistan.
Secondo gli esperti, la smilitarizzazione dell’area determinerebbe il collasso definitivo del Governo di Kabul, in cui erge una fragile Repubblica Democratica. Il rischio, di cui si parla, riguarderebbe il ripetersi di ciò che accadde in Iraq, in cui il ritiro delle truppe di combattimento, deciso nel 2011 dal presidente Obama, diede vita ad ottimali condizioni di crescita per lo sviluppo dello Stato Islamico, che in poco tempo è riuscito ad egemonizzare grandi fette del territorio siriano ed iracheno.
Altri invece ritengono che a seguito del decennale dell’uccisione di Bin Laden – fanatico sostanziale, mente che partorì l’organizzazione terroristica e i relativi attentati ad essa connessa – sia sopraggiunto per gli Stati Uniti il tempo di concentrare la propria attenzione verso progetti diversi in materia di politica estera.
La negoziazione avviata tra l’amministrazione democratica e l’afghano Nader Nadery prederà uno “spazio vitale” per i talebani affinchè possano
“mostrare la loro buona volontà nel raggiungere la pace e un accordo sull’assetto politico”.
Nonostante tale accordo, l’Esecutivo americano ha stabilito che un contingente di alcuni soldati rimarrà nella terra orientale per assicurare protezione al personale diplomatico. I militari che lasceranno l’Afghanistan verranno inviati in altre zone del continente asiatico.
La conferenza in Turchia
Dalla politica estera proposta dagli Stati Uniti, la Turchia ha ufficializzato che, tra il 24 aprile e il 4 maggio si terrà la Conferenza di Pace di Istanbul, organizzata dal Governo di Ankara, dal Qatar e dalle Nazioni Unite, a cui i Talebani hanno preannunciato di non partecipare. Mohammad Naeem, portavoce talebano che così twittato
“Non parteciperemo a nessuna conferenza sul futuro dell’Afghanistan finché tutte le truppe straniere non si ritireranno dal Paese.”
L’obiettivo presentato dal ministro degli Esteri turco è quello di:
- Velocizzare e concludere i negoziati intra-afghani di Doha (Qatar), il cui dialogo è iniziato il 12 settembre 2020 con i rappresentanti del fronte “repubblicano” di Kabul che non lo hanno mai riconosciuto come attore e interlocutore legittimo, sebbene questo includa anche la fetta dell’opposizione del presidente Ghani. Le motivazioni dello stallo si rintracciano sia sulla sfiducia dei due fronti a seguito della presenza di violenza sul terreno, sia per la transizione governativa americana che ha suscitato incertezza rendendo sempre più fragile il rapporto.
- Raggiungere un accordo politico giusto e durevole.
Giovanna Sgarlata