Dieci anni fa, naufragava a pochi metri dalla terraferma la nave Costa Concordia

Che sia stato per un azzardo, un errore o per vigliaccheria, ciò che rimarrà per sempre nella memoria di quel 13 gennaio 2012 è che morirono annegate 32 persone, a pochi metri dalla terraferma. Stiamo parlando del naufragio della nave Concordia della compagnia Costa, avvenuta al largo dell’Isola del Giglio. La più grande nave da crociera mai affondata. Il nome del suo comandante, Francesco Schettino, rimarrà impresso nella memoria degli italiani e non solo.

Erano le ore 21:45:07 del 13 gennaio di esattamente dieci anni fa, quando questo colosso del mare impattava su degli scogli dell’isola detti “Le Scole“.

 

La nave naufragata nei pressi dell’Isola del Giglio, prima di essere rimossa (fonte: ilpost.it)

 

Le ore prima dell’impatto. Schettino decide di fare un inchino presso il Giglio come quello del 1993

Il 13 gennaio, la Costa Concordia salpò da Civitavecchia con tre minuti di anticipo, alle 18.57. Alle 21.04 iniziò la deviazione dalla rotta abituale per avvicinarsi all’Isola del Giglio.

Il famoso “inchino” nei pressi dell’isola non rientrava nei piani della crociera, fu una scelta del comandante, il quale poi dichiarò fosse stato per accontentare una richiesta del maître della nave, Antonello Tievoli, che voleva rendere omaggio alla madre che abitava proprio sull’isola, vicino al porto.

Quella del 2012, non fu la prima volta che veniva eseguita questa stessa manovra: si tratta una tradizione inaugurata nel 1993 dal comandante Mario Terenzio Palombo, originario anch’egli dell’isola, che definì l’inchino “una consuetudine emozionante e folkloristica”.

Schettino allora decise: «Amm’a fa l’inchino al Giglio».

Il comandante Schettino (fonte: cultura.biografieonline.it)

Intorno alle 19.00, la nave lasciò il porto di Civitavecchia per rientrare a Savona il mattino seguente, concludendo l’itinerario soprannominato “Profumo del Mediterraneo” o “Profumi di agrumi”.

Prima della partenza e di lasciare il porto, il comandante diede ordine a un ufficiale di accogliere a bordo una sua ospite, Domnica Cemortan, moldava, ex hostess per Costa Crociere, con cui avrebbe cenato quella sera. Questo dettaglio, successivamente, venne posto al centro della polemica sulla vicenda e delle indagini, dandogli, probabilmente, più importanza di quanto effettivamente ne abbia avuto. Il passaggio accanto all’isola del Giglio, risultava, di per sé, rischioso.

Più tardi, Schettino diede ordine di rallentare, per finire di cenare in pace. Alle 21.19 un ufficiale lo avvertì che la nave era a sei miglia dall’isola, così attese ancora qualche minuto, lasciò il ristorante e salì in plancia di comando insieme al maître. Lì vi erano sei persone. Ciò che avvenne di lì a poco venne ricostruito anche con l’aiuto dei dati raccolti nella scatola nera, almeno fino al momento in cui fu possibile.

La nave doveva passare vicino alla costa est dell’isola, tenendosi a 0,5 miglia nautiche, circa 800 metri, evitando le Scole, ma in seguito a una telefonata al capitano, ormai in pensione, Palombo, per informarlo che quell’inchino che si stava per effettuare sarebbe stato anche in suo onore, Schettino riportò – secondo quanto si apprende dalle registrazioni – che si sarebbe potuto avvicinare anche di 0,4 o 0,3 miglia nautiche all’isola.  Palombo, però, come ogni inverno, si era ritirato a Grosseto.

La telefonata si concluse brevemente e alle 21.39 Schettino iniziò la manovra di maggiore avvicinamento al Giglio. La velocità era di circa 30 km orari. Poi l’ordine di virare “a dritta”, a destra, di 325 gradi. In quel momento, si verificò la prima di una serie di incomprensioni che diede inizio al disastro, nonostante gli ordini fossero dati in inglese: il timoniere indonesiano, Jacob Rusli Bin, capì erroneamente di dover virare di 315 gradi.

Alle 21.42 Schettino capì che si stava avvicinando troppo agli scogli e iniziò a dare ordini per modificare la direzione della nave. Infine ordinò “tutto a destra” e la nave puntò con la prua verso il mare aperto, ma la poppa, cioè la parte posteriore della nave, si stava avvicinando inesorabilmente agli scogli. Per allineare di nuovo la nave Schettino ordinò di virare di 10 e poi 20 gradi a sinistra. Il timoniere capì nuovamente male e virò ancora di più sempre a destra.

La nave continuò nella direzione errata per 13 secondi e solo dopo un ufficiale intervenne e cambiò rotta. Schettino iniziò a dare ordini sempre più ravvicinati, che il timoniere non capì, o a capì solo parzialmente.

L’impatto avvenne alle 21.45.

I danni alla nave (fonte: ilpost.it)

 

Ai passeggeri e alle autorità viene comunicato che si tratta solo di un blackout

Sul fianco destro dello scafo si aprì uno squarcio di 70 metri, 8 sotto la linea di galleggiamento, interessando tre compartimenti stagni, in uno dei quali si trovava la sala macchine. Ci fu un blackout immediato e si attivò l’alimentazione d’emergenza. Il timone restò bloccato in posizione di virata a dritta e la nave urtòIniziò ad affondare la poppa e poi a inclinarsi tutta verso destra. L’acqua entrò violentemente dalla falla, si allagarono subito i compartimenti 4, 5, 6, 7, e l’8 poco dopo.

Schettino diede subito l’ordine di chiudere le porte stagne a poppa e alle 21.51 chiamò il direttore di Macchine, Giuseppe Pilon, che gli disse che l’acqua stava entrando direttamente in sala macchine. Schettino ordinò di mettere in azione le pompe di svuotamento, che però erano fuori uso, e nemmeno un motore poteva ripartire.

Bisognava andarsene.

Il lato destro della Costa Concordia, 17 settembre 2013 (fonte: ilpost.it)

Intanto i passeggeri non avevano ben capito cosa stesse succedendo, se non che qualcosa non andasse, poiché avevano sentito solo una scossa, per poi vedere che la nave stava rallentando e girando su sé stessa. Inoltre, venne dato un comunicato agli altoparlanti che diceva loro di rimanere tranquilli. Schettino aveva dato ordine di riferire che si trattasse solo di un blackout e niente più. Molti dei passeggeri si tranquillizzarono veramente. I membri dell’equipaggio si spostavano da una parte all’altra della nave riuscendo solo a ripetere “stiamo risolvendo”.

 

Schettino rivela la verità. Inizia l’evaquazione, ma lui è già a bordo di una scialuppa

Schettino telefonò all’unità di crisi della Costa Crociere. Rispose il coordinatore Roberto Ferrarini e a lui disse che la colpa di ciò stava accadendo fosse del comandante Palombo che gli aveva riferito di potersi avvicinare così tanto all’isola e che quell’inchino fosse stato pensato per lui.

Intanto la nave si inclinò di più e tra i passeggeri scoppiò il caos. Una donna telefonò i parenti a Prato, che a loro volta chiamarono i Carabinieri, i quali telefonarono alla capitaneria di porto di Livorno. Questa, alle 22.12, si mise in contatto con la Concordia: «Cortesemente, avete dei problemi a bordo?». Dalla nave risposero che si trattasse solo di un blackout e che sarebbero rimasti in zona – come se la nave potesse spostarsi – nell’attesa di risolvere. Era passata quasi mezz’ora dall’impatto.

Solo alle 22.36, cinquanta minuti dopo, venne dato l’annuncio di recarsi al ponte 4 ed eseguire le istruzioni del personale, ma non che bisognasse abbandonare la nave. Alcuni passeggeri furono fatti salire sulle scialuppe di salvataggio, ma poi furono fatti scendere. Schettino aspettava, sperava che la nave si appoggiasse sul fondale, per poi sentirgli dire, alle 22.51: “Ma chi me l’ha fatto fare?”.

Erano le 22:54:10, un’ora e dieci minuti dopo l’impatto, quando diede l’ordine di abbandonare la nave.

Le scialuppe sarebbero bastate per tutti, ma era troppo tardi, la nave era troppo inclinata ed era difficile farle scendere in mare tutte. I passeggeri sul lato sinistro si spostavano sul lato destro. Era un inferno. Persone che venivano spinte o tirate anche per i capelli, persino dei bambini che venivano spinti a terra.

Dal porto dell’isola del Giglio iniziarono intanto a partire le imbarcazioni anche private per raccogliere i naufraghi e portare soccorsi. Passeggeri e membri dell’equipaggio che erano ancora a bordo iniziarono a buttarsi in mare.

Poco dopo la mezzanotte Schettino salì su una scialuppa assieme ad altri ufficiali e, alle 00.32, gli arrivarono delle telefonate dalla capitaneria di Livorno, in cui il capitano di fregata Gregorio de Falco gli intimò di tornare sulla nave per coordinare le operazioni di evacuazione, pronunciando la frase che ancora riecheggia: «Vada a bordo, cazzo!».

 

Il Capitano di fregata De Falco, capo sezione operativa della Capitaneria di Livorno, che intimò a al comandante Schettino di ritornare a bordo (fonte: cultura.biografieonline.it)

 

La condanna di Schettino e le “verità sommerse”

Schettino a bordo non riuscì a tornare. Una macchina lo portò in un albergo e l’autista raccontò che il comandante avesse solo chiesto dove avrebbe potuto comprare delle calze asciutte.

L’operazione di salvataggio dei passeggeri andò avanti fino alle 5 del mattino. Mancavano 32 persone, quelle che furono poi trovate morte, l’ultima solo il 3 novembre 2014, il cui corpo era finito sotto i mobili di una cabina al ponte 8. La vittima più giovane aveva sei anni, la più anziana 86.

Il comandante venne arrestato giorni dopo. Da allora in poi fece delle dichiarazioni sconcertanti, riportate insieme a tutta la sua versione dell’accaduto nel suo libroLe verità sommerse”. Ha parlato di numerose omissioni ed errori da parte dell’unità di crisi della Costa, con sede a Genova, avvertita da subito. Da essa pare sia giunto a Schettino l’ordine di non avvertire da subito i soccorsi, poiché l’intervento dei rimorchiatori sarebbe costato molto alla società.

Vennero indagati altri ufficiali, il timoniere, il responsabile dell’unità di crisi di Costa Crociere, il presidente e il vicepresidente della società. Venne chiesto il rito abbreviato, concesso a tutti tranne che al comandante. Gli ufficiali subirono condanne al massimo di un anno e 11 mesi.

Schettino venne condannato in Cassazione, il 12 maggio 2017, a 16 anni di reclusione per omicidio plurimo colposo, lesioni colpose, naufragio colposo, abbandono della nave. Ancora sta scontando la sua pena nel carcere di Rebibbia, a Roma, nel quale pare che la sua condotta sia esemplare.

Se inizialmente, si era pensato che la tragedia fosse dovuta solo a una leggerezza di Schettino che si sarebbe distratto per la compagnia dell’ex hostess Cemortan, con la quale ammise di aver avuto una relazione, poi emerse, come suddetto, tutto il resto. Ciò che ha reso la vicenda così terribile è sia avvenuta vicino alla terraferma e che probabilmente si sarebbe potuta risolvere senza che ben trentadue persone morissero.

 

La Concordia fotografata dal Giglio pochi giorni dopo il naufragio (fonte: ilpost.it)

 

 

Rita Bonaccurso

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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