Il Monkeypox virus visto al microscopio (fonte: roma.corriere.it)

Un vaiolo dalle scimmie: “Monkeypox virus”. Preoccupazione in Europa, ma gli esperti rassicurano

Il Monkeypox virus visto al microscopio (fonte: roma.corriere.it)

L’Italia e l’Europa di nuovo preoccupate per un virus: si tratta di un vaiolo proveniente dalle scimmie, “Monkeypox virus”. Si invita a mantenere alta l’attenzione, ma la malattia virale non provocherebbe complicazioni gravi.

Diffuso soprattutto in Africa, in particolare in Ghana e Nigeria, tra scimmie e roditori, il Monkeypox virus non è paragonabile al vaiolo umano, diffusosi negli anni ’80 e molto più grave di questa malattia di origine animale.

Ancora non molto si sa dell’agente patogeno di questo virus. Le indagini sono già iniziate e l’attenzione a livello internazionale sia altissima, ma si tratta di prudenza, poiché non vi è una reale preoccupazione per i sintomi. Sappiamo che una rassicurazione come questa non sia realmente d’aiuto, poiché lo spettro del Covid-19 alleggia ancora sulle nostre teste.

Diagnosticato sporadicamente in Europa, negli ultimi anni, e in altre zone delle Americhe, il vaiolo delle scimmie è stato di solito contratto da viaggiatori provenienti da zone endemiche, aree in cui esso è normalmente diffuso.

La malattia, quindi, non è sconosciuta e non ha mai causato allarmi. Perciò le autorità sanitarie di tutto il mondo invitano a rimanere attenti, ma calmi.

L’Istituto superiore di sanità, l’Iss, ha costituito una task force di esperti per monitorare tramite il supporto di vari centri nazionali che si occupano di malattie infettive.

 

I sintomi

L’ Iss ha fatto alcune raccomandazioni sui comportamenti da tenere in caso di sintomi sospetti e di contatto con persone sintomi simili a quelli riscontrati finora: febbre, dolori muscolari, cefalea, linfonodi gonfi, stanchezza e manifestazioni cutanee, quali vescicole, pustole e piccole croste. La manifestazione dei sintomi avviene dopo circa 12 giorni dall’esposizione al contagio, che avviene tramite le vie aeree, attraverso le goccioline del respiro (“droplets”).

Attualmente non è sicura la trasmissione tramite rapporti intimi, dunque, attraverso tutti i liquidi corporei. Inoltre, al momento non viene considerato contagioso chi non presenta sintomi, ma in tutti i casi è raccomandata la massima precauzione, visto che il virus non si è registrato in moltissimi casi.

Si raccomanda, in tal caso, di restare a casa, a riposo, e di rivolgersi al medico di fiducia, per evitare di diffondere il virus. Inoltre, dalla malattia si guarisce, secondo quanto si sa, senza terapie scientifiche, questa scompare spontaneamente, nel corso di 1 o 2 settimane.

 

Il primo caso italiano allo Spallanzani di Roma

Finora, una ventina i casi accertati in Europa, di cui i primi nel Regno Unito, Spagna e Portogallo. In Italia, il primo identificato all’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. Si tratta di un giovane di ritorno dalle Isole Canarie, che si era presentato inizialmente al pronto soccorso dell’ospedale Umberto I. Altri due i casi sospetti attenzionati nel frattempo.

I medici dello Spallanzani hanno dichiarato:

«Il quadro clinico è risultato caratteristico e il Monkeypox virus è stato rapidamente identificato con tecniche molecolari e di sequenziamento genico dai campioni delle lesioni cutanee. La persona è in isolamento in discrete condizioni generali, sono in corso le indagini epidemiologiche e il tracciamento dei contatti».

Informato tempestivamente il ministro della Salute, Roberto Speranza, dall’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, il quale ha dichiarato esser stata già avviata un’indagine epidemiologica dai “cacciatori di virus”.

Speranza ha, a sua volta, riferito che verranno coinvolti nell’azione di monitoraggio l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, l’Hera, e il Centro europeo per la prevenzione delle malattie, l’Ecdc, da cui è stato consigliato di non procedere con vaccinazioni contro il vaiolo, se non in strettissimi casi ad alto rischio, poiché sufficiente un semplice trattamento antivirale.

 

Le dichiarazioni degli esperti invitano alla prudenza, ma allo stesso tempo rassicurano

Anna Teresa Palamara, capo del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss ha confermato che nel nostro Paese non ci sia un allarme, ma ha invitato alla prudenza con i rapporti intimi, poiché ancora non è chiaro se possano veicolare il contagio.

Il noto infettivologo Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, ha dichiarato che chi ha effettuato il vaccino contro il vaiolo è protetto anche dal vaiolo delle scimmie, che condivide la stessa famiglia, pur essendo diverso.

Però, la profilassi è vietata, in Italia, dal 1974 e, dunque, la maggior parte della popolazione è scoperta. Perciò, l’infettivologo ha stimato che nei prossimi giorni si possa arrivare a un migliaio di casi.

«Dobbiamo cercare di mettere in sicurezza il vaiolo delle scimmie. È molto più leggero di quello degli uomini per quanto riguarda i sintomi e si trasmette anche attraverso il respiro, ma solo se si sta molto vicini» ha detto ai microfoni di Rai Radio1.

In ogni caso, le autorità sanitarie non consigliano di effettuare vaccinazioni, se non in strettissimi casi ad alto rischio.

La situazione viene controllata comunque con attenzione per evitare un aumento dei contagi, ma il virus non arrecherebbe un’elevatissima infettività intra-umana, da quel che si conosce. «Ovviamente è qualcosa che ci preoccupa. Al momento, però, è necessario solo procedere correttamente con segnalazioni tempestive e un’attenzione specifica nei laboratori», ha detto Fabrizio Pregliasco, docente dell’università Statale di Milano e direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi.

Il microbiologo dell’Università di Padova, Andrea Crisanti, ha evidenziato la necessità di diagnosticare velocemente gli eventuali casi vaiolo, per poter utilizzare una terapia e tenerlo sotto controllo sin da subito. Però, il fatto che il virus non sia mai stato diffuso nel nostro Paese o in Europa, potrebbe causare ritardi nella diagnosi.

Nonostante ciò, Crisanti ha ricordato che non si tratta di una malattia nuova:

«Chi la presenta così racconta una bufala clamorosa: è endemica in Congo, abbiamo avuto un cluster nel 2003 negli Stati Uniti e in Sudamerica ci sono stati diversi casi negli anni scorsi. L’unica cosa anomala al momento è l’elevato numero di casi Inghilterra e in Spagna».

La pandemia da Covid-19 ci ha cambiato e le prime indiscrezioni sul Monkeypox ci ha subito allarmato, ma le parole degli esperti e l’organizzazione tempestiva di enti ed istituti sanitari suggerisce che saremmo in grado di evitare un disastro come quello iniziato da Wuhan, facendo ricorso all’arma da sempre più efficace: la prevenzione.

 

 

Rita Bonaccurso

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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