Domenica quattro persone affiliate al Parlamento Europeo sono state arrestate con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro a seguito di un’inchiesta della procura belga riguardante un’attività di lobbying condotta, come si presume, da parte del Qatar, paese che sta ospitando i Mondiali di calcio 2022 e che si trova già sotto pesanti accuse per violazione dei diritti umani.
I soggetti che si trovano sotto arresto sono Eva Kaili, politica greca e vicepresidente del Parlamento Europeo (adesso sospesa); Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare dei Socialisti e Democratici tra il 2004 e il 2019; Francesco Giorgi, compagno di Kaili, assistente parlamentare e fondatore della ong Fight Impunity; Niccolò Figà-Talamanca, a capo della ong No Peace Without Justice. Sottoposte al mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia di Panzeri, col vincolo di associazione a delinquere.
L’inchiesta
Lo scorso 9 dicembre due giornali belgi, Le Soir e Knack, hanno scritto che la procura federale belga stesse mandando avanti già da luglio un’indagine su un giro di corruzione e riciclaggio che si sarebbe svolto proprio dentro il Parlamento Europeo, con vari protagonisti tra cui «quattro italiani». Il procuratore federale Eric Van Duyse, a Knack, avrebbe poi parlato genericamente di «uno Stato del Golfo» senza volerne rivelare l’identità, ma tutti i sospetti sono inevitabilmente caduti sul Qatar.
L’accusa a questo Paese sarebbe di aver tentato per mesi di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento UE tramite il versamento di ingenti somme o regali a terze parti con un grande ascendente sul Parlamento.
Per questa ragione, il 9 dicembre (giorno in cui, quasi paradossalmente, si festeggia la Giornata Internazionale contro la Corruzione), la procura belga ha operato sedici perquisizioni nelle case degli assistenti dei vari membri del Parlamento indagati, dove sono stati sequestrati computer e smartphone ed, in un caso, anche seicentomila euro in banconote.
Il Qatar nel mirino
Le ragioni per cui, tra tutti i Paesi del Golfo, i sospetti siano caduti proprio sul Qatar sono intuibili: questo Paese negli anni scorsi è infatti riuscito ad ottenere l’assegnazione dei Mondiali di Calcio 2022, ma non senza importanti polemiche. Perplessità si sono trasformate in vere proteste quando è stato fatto presente il poco riguardo che questa nazione avrebbe dei diritti umani, in particolare delle categorie più deboli come quelle rappresentate dalla comunità LGBTQ+.
Non meno importante, un grande scandalo ha riguardato la costruzione dei vari stadi dove oggi vengono ospitate le partite di calcio. Migliaia di morti sul lavoro sarebbero avvenute durante questa fase, per non parlare delle esimie condizioni in cui la manodopera era costretta a lavorare.
In sostanza, il Qatar avrebbe tutto l’interesse a dare una “rinfrescata” alla propria immagine, facendosi promuovere proprio da soggetti vicinissimi alle cause per i diritti umani e mostrarsi come uno Stato – addirittura – democratico. Ed infatti, numerose personalità coinvolte nell’inchiesta avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche a sostegno del Qatar che destavano non poco sospetto. La stessa vice Eva Kaili, dopo un incontro col Ministro qatariota del Lavoro, aveva detto che «Il Qatar sarebbe stato in prima linea per i diritti dei lavoratori».
Ad ogni modo, un esponente ufficiale del Qatar ha negato qualsiasi coinvolgimento del suo governo nella vicenda, affermando di aver sempre agito secondo i dettami delle norme internazionali.
L’importante ruolo delle ONG
Ciò che rende ancor più complessa la vicenda sarebbe l’utilizzo, per gli scopi illeciti degli indagati, delle rispettive posizioni di forza e di garanzia di cui godevano, nonché delle due ONG No Peace Without Justice, capitanata da Niccolò Figà-Talamanca, e Fight Impunity, presieduta da Antonio Panzeri. La sede di quest’ultima è stata oggetto di perquisizione da parte della polizia belga.
In particolare, Fight Impunity è un’organizzazione che si propone l’obiettivo di «promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale». Molti sono i nomi che hanno deciso di abbandonare a seguito dello scandalo: da Federica Mogherini, ex Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, all’ex Commissario Europeo per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos, fino alle eurodeputate Cecilia Wikström ed Isabel Santos.
Molti di questi soggetti erano esclusivamente membri onorari dell’organizzazione, non avendo al suo interno alcun ruolo effettivo.
Quanto a No Peace Without Justice, membro di spicco (e fondatrice) è la politica italiana Emma Bonino, a sua volta membro onorario di Fight Impunity, che però non si è espressa sull’accaduto.
Lo sconforto della politica
Fino a prova contraria, per tutti i soggetti sotto arresto vige la presunzione d’innocenza. Eppure, la vicenda si presta già ad essere «il più grande caso di presunta corruzione interna al Parlamento UE degli ultimi decenni», come affermato dal Direttore della Trasparenza Internazionale dell’Unione Michiel van Hulten. E rivela a Politico:
Il Parlamento ha creato una cultura dell’impunità, con una combinazione di regole finanziarie e controlli lassisti ed una totale mancanza di supervisione etica indipendente.
Infine, la Presidente del Parlamento Roberta Metsola ha affermato che «l’Assemblea si schiera fermamente contro la corruzione e sta attivamente cooperando con le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia».
Valeria Bonaccorso