Di cosa parla la riforma costituzionale?

La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 Dicembre, con cui verrà deciso se approvare o respingere la legge Boschi (approvata il 12 aprile), è la più vasta e complessa mai intrapresa nella storia della Repubblica Italiana: prevede la modifica di più di 40 articoli, tanti quanti ne sono stati modificati nel corso degli ultimi 70 anni. La riforma è stata approvata in doppia lettura da camera e senato e ora dovrà passare al vaglio dei cittadini. Il referendum costituzionale è previsto dall’articolo 138 della costituzione italiana e deve essere indetto entro tre mesi dall’approvazione da parte del parlamento delle leggi di revisione costituzionale. Per essere valido non c’è bisogno di raggiungere il quorum. A differenza del referendum abrogativo, in questo caso non è necessario che vada a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto.

Riforma del Senato La riforma prevede una forte riduzione dei poteri del Senato e un cambio nel metodo di elezione dei senatori, e avrà come conseguenza principale la fine del bicameralismo perfetto, cioè la forma parlamentare in cui le due Camere hanno sostanzialmente uguali poteri e uguali funzioni. Sulla maggior parte delle leggi sarà soltanto la Camera a dover decidere eliminando la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio della stessa legge tra Camera e Senato che oggi capita avvenga anche più di una volta, visto che le due camere devono approvare leggi che abbiano esattamente lo stesso testo. Il nuovo Senato non darà la fiducia al governo, che quindi per insediarsi e operare avrà bisogno soltanto del voto della Camera. Il Senato manterrà la sua “competenza legislativa”, cioè la possibilità di approvare, abrogare o modificare leggi, soltanto in un numero limitato di ambiti: riforme costituzionali, disposizioni sulla tutela delle minoranze linguistiche, referendum, enti locali e politiche europee. In tutti gli altri, la Camera legifererà in maniera autonoma: per approvare una legge, quindi, non ci sarà più bisogno di un voto favorevole da parte di entrambi i rami del Parlamento ma basterà il voto della Camera. Il Senato potrà chiedere modifiche dopo l’approvazione della legge, ma la Camera non sarà obbligata ad accettarne gli emendamenti. Insieme alle competenze, cambierà anche la composizione del Senato, che passerà da 315 a 100 membri. I senatori non saranno più eletti direttamente come avviene oggi, ma saranno scelti dalle assemblee regionali tra i consiglieri che le compongono e tra i sindaci della regione. In tutto il Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica che resteranno in carica per sette anni, non percepiranno stipendio, ma avranno le stesse tutele dei deputati. I dettagli su come saranno eletti i senatori provenienti dalle regioni non sono specificati nel ddl Boschi: servirà una legge che determini esattamente come avverrà la loro elezione.

Titolo V La seconda parte più importante della riforma riguarda la riduzione dell’autonomia degli enti locali a favore dello stato centrale. Questa riduzione si otterrà con la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, che contiene le norme fondamentali che regolano le autonomie locali. Il Titolo V era già stato modificato con la riforma Costituzionale del 2001, quando alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli). Con il ddl Boschi, molte di quelle competenze torneranno in maniera esclusiva allo Stato, mentre le competenze concorrenti (cioè condivise tra Stato e regioni) scompariranno completamente. La competenza principale che rimane alle regioni sarà la sanità. Nella riforma sono anche contenute clausole che permettono allo stato centrale di occuparsi di questioni esclusivamente regionali, nel caso lo richiede la tutela dell’interesse nazionale. La riforma porterà anche all’abolizione definitiva delle province, che negli ultimi anni sono già state progressivamente svuotate delle loro principali funzioni.

Elezioni del presidente della Repubblica e abolizione del CNEL e referendum La riforma prevede anche una serie di cambiamenti di portata meno rilevante, ma comunque importanti. Il presidente della Repubblica sarà eletto dalle due camere riunite in seduta comune, senza la partecipazione dei 58 delegati regionali come invece avviene oggi. Sarà necessaria la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Solo al nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta (attualmente è necessario ottenere i due terzi dei voti fino al terzo scrutinio; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta: Napolitano e Mattarella sono stati eletti così). Il ddl Boschi prevede anche l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un organo previsto dalla Costituzione (all’articolo 99). Il CNEL è un “organo consultivo”, con la facoltà di promuovere disegni di. È composto da 64 consiglieri, in parte nominati dal Presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio (dieci persone), in parte dai rappresentanti delle categorie produttive (48 membri) e in parte dai rappresentanti di associazioni e volontariato (6 membri). Con l’abolizione delle province, del CNEL, e la riduzione dei senatori, è prevista una riduzione dei costi, ma non sono state fornite stime esatte sull’ammontare di questi risparmi, si calcola che possano essere nell’ordine di poche centinaia di milioni di euro, su un bilancio pubblico di circa 800 miliardi di euro.

Referendum e leggi d’iniziativa popolare La riforma lascia aperta la possibilità di introdurre referendum propositivi, cioè per proporre nuove leggi (oggi invece i referendum possono solo confermare o abrogare leggi già approvate). Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, non il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per proporre leggi d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50000 firme, ma ne serviranno 150000.

 

di Redazione UniVersoMe

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