
Da sempre si sente parlare di una svariata gamma di diete spesso inutili, inconcludenti e pesanti da seguire.
Negli ultimi tempi ha sempre più preso piede una dieta che, oltre ad avere un effetto dimagrante, agisce positivamente sullo stato di salute.
Sto parlando del digiuno intermittente.
Cosa succede durante il digiuno?
Mentre in condizioni post prandiali si attivano dei processi per immagazzinare le sostanze appena introdotte, durante il digiuno tendiamo ad usare queste riserve per produrre energia.
I processi biochimici che avvengono durante il digiuno sono principalmente la lipolisi, attraverso la quale si consumano i grassi con la formazione di Acetil-CoA, e la neoglucogenesi, con cui il fegato produce glucosio da immettere in circolo. Uno degli intermedi più importanti di queste reazioni è l’ossalacetato, che partecipa sia alla neoglucogenesi che al Ciclo di Krebs per produrre energia. Questo substrato si fonde all’Acetil-CoA formando il citrato che entra poi nel Ciclo di Krebs.
A lungo andare, però, la neoglucogenesi porterà ad una riduzione dell’ossalacetato con conseguente accumulo dell’Acetil-CoA. Questo entrerà quindi in un’altra via che è la chetogenesi formando i corpi chetonici (aceto-acetato, beta-idrossibutirrato e acetone) che sopperiscono alla carenza di glucosio, potendo essere metabolizzati anche a livello cerebrale.
Cos’è e come funziona il digiuno intermittente?
Il funzionamento del digiuno intermittente si basa sulla creazione di un periodo di digiuno con durata calcolata per incidere sul bilancio calorico complessivo e sul metabolismo ormonale.
Ci sono due diversi approcci principali:
- Il 5:2 prevede che 5 giorni a settimana si possa mangiare senza nessun tipo di restrizione, mentre nei restanti 2 giorni si assumano in totale 500-600 Kcal.
- Il 16:8, o alimentazione a tempo limitato, prevede la suddivisione delle 24h in 16h di digiuno e le restanti 8h in cui bisogna concentrare l’intero apporto calorico.
Il primo metodo 5:2 prevede un’alimentazione libera per tutta la settimana (senza eccedere e rispettando il ritmo fisiologico circadiano del rilascio ormonale) a patto che per due giorni (es: lunedì e giovedì) si assumano soltanto 500 Kcal.
Una dieta giornaliera di 500 Kcal potrebbe essere la seguente:
- Colazione: The/Caffè senza zucchero
- Pranzo: 100g di manzo
- Spuntino: un frutto
- Cena: spinaci bolliti e una fetta di pane tostato.
Invece secondo il metodo 16:8 si suddivide la giornata in 16 ore in cui ci si asterrà dall’alimentarsi, mangiando invece nelle restanti 8 ore, senza restrizioni in termini quantitativi o qualitativi.
Ovviamente il piano più facilmente attuabile comprende nelle 16 ore quelle notturne, saltando praticamente la cena o la colazione.

Quest’ultimo metodo è quasi un ritorno alle primordiali necessità umane, in quanto la ”cena” si può considerare una ”deviazione socio-culturale”, non indispensabile per il nostro organismo.
Come in tutti i cambiamenti ci sono dei pro e dei contro:
- il grande vantaggio è la libertà nell’assumere cibi come carboidrati e lipidi (senza esagerazioni);
- l’iniziale senso di fame può invece essere limitante, ma tende a diminuire progressivamente grazie al maggiore rilascio di leptina (un ormone anoressizzante, ovvero che riduce il senso di fame).
Evidenze ed effetti benefici della dieta intermittente

Questo regime alimentare è stato ideato per favorire la perdita di peso in soggetti obesi, con sindrome metabolica o con diabete di tipo 2.
Numerosi studi sono stati condotti sia su animali (pre-clinici) che sull’uomo (clinici) per valutarne i benefici e l’efficacia.
Dagli studi pre-clinici su modelli murini obesi, si è riscontrata una riduzione dell’insulina, del glucosio, una maggiore tolleranza al glucosio e anche una perdita di peso. Oltre a ciò, si è valutato un aumento della massa magra e una modifica del microbiota intestinale verso un fenotipo meno ”obesigeno”, ipotizzando che questo possa avere un ruolo nei meccanismi metabolici alla base di queste patologie.
Successivamente, gli studi clinici svolti su soggetti obesi e sedentari hanno confrontato una dieta ipocalorica con quella intermittente 5:2 per un periodo di almeno 8 settimane. In 9 studi su 11, la perdita di peso era equivalente nei due tipi di dieta e nel follow-up a 4-48 settimane, non si tendeva a riprendere il peso perso.
Altri studi hanno dimostrato non solo la perdita di peso, ma anche il mantenimento del peso raggiunto per un anno e un miglioramento della soddisfazione del sonno.
Inoltre, questo tipo di approccio alimentare si è dimostrato efficace nella riduzione di colesterolo, LDL, trigliceridi, glucosio, insulina e dell’insulino-resistenza.
Anche su pazienti già diabetici altri studi hanno mostrato una riduzione notevole dell’emoglobina glicata (parametro con il quale si monitora l’andamento della glicemia e della patologia).
Quindi è un metodo sicuro ed efficace?
La maggior parte degli studi risponde di sì a questa domanda.
Si stima, infatti, che produca una perdita di peso del 3–8% negli adulti con sovrappeso o obesità.
Quindi, limitare l’apporto energetico a una breve finestra durante le ore di veglia e prolungare la durata del digiuno notturno può essere una strategia pratica e utile per promuovere la perdita e il mantenimento del peso.
Se a questo si riesce ad associare l‘attività fisica, altro cardine del benessere, il gioco è fatto!
Non ci sono controindicazioni per questo tipo di stile alimentare, ma è ovvio che, al di là dei consigli dati, si raccomanda di rivolgersi ad una figura professionale che possa pianificare in maniera soggettiva il più appropriato piano alimentare.
Sofia Turturici
Bibliografia:
- https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMra1905136
- https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?term=intermittent+fasting+and+weight+loss
- https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31614992/
- https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/dieta-del-digiuno-intermittente-come-e-quando-puo-far-bene-alla-salute