Verso l’estradizione di Assange, arriva l’ok del Tribunale. ONU: estradizione violerebbe diritti umani

Mercoledì, la Corte dei Magistrati di Westminster (uno dei tribunali di Londra) ha autorizzato formalmente l’estradizione del giornalista e creatore di Wikileaks Julian Assange verso gli Stati Uniti, dove rischia di essere condannato a 175 anni di detenzione o alla pena di morte per i diciotto capi d’accusa legati alla sua attività di hacker, in particolare per la violazione dell’Espionage Act americano. Si tratta di una misura che non era stata attivata neanche quando Daniel Ellsberg svelò i Pentagon Papers riguardanti la guerra in Vietnam. In quel caso, infatti, la contestazione sulla riservatezza degli atti pubblici cadde a favore della libertà di diffusione di informazioni d’interesse pubblico.

Assange si trovava dal maggio 2019 presso il carcere di massima sicurezza Belmarsh per scontare una pena di 50 settimane relativa alla violazione dei termini della libertà su cauzione concessagli in seguito all’arresto, avvenuto nel 2010, per reati sessuali. Prima di allora, aveva trascorso sette anni presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra in qualità di rifugiato politico.

Chi è Julian Assange, la mente dietro Wikileaks

Assange nasce il 3 luglio 1971 a Townsville, in Australia. Durante l’adolescenza acquisisce esperienza nella programmazione e verso la fine degli anni ’80 entra a far parte del gruppo di hacker “Sovversivi Internazionali”. Già negli anni ’90 gli vengono rivolte diverse accuse di pirateria informatica, alcune di queste anche contro il Dipartimento di difesa americano.

Nel 2006 fonda Wikileaks, organizzazione che si occupa di divulgare documenti coperti dal segreto di Stato. Sarà proprio nel 2010 che il sito web riceverà fama internazionale, grazie alla diffusione di notizie fornite dall’ex militare statunitense Chelsea Manning. Quest’ultima riuscì a far trapelare – durante il proprio servizio militare – dei diari di guerra dall’Afghanistan e dall’Iraq, così come il video Collateral Murder, esponendo i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti durante le relative campagne militari.

Tuttavia, sia Assange che Manning pagheranno un caro prezzo: il primo costretto ad una fuga decennale, la seconda condannata a 35 anni di detenzione (con grazia del presidente Barack Obama e scarcerazione dopo sette anni).

Il caso della Svezia e il primo arresto

Nel 2010 – si noti, poco dopo la divulgazione dei crimini di guerra statunitensi – la Svezia emette un mandato di arresto per Assange con l’accusa di aver praticato rapporti sessuali non protetti contro il consenso delle partner (atto che in Svezia è equiparato al reato di stupro). Ai tempi, Assange si difese affermando che si trattasse di un pretesto per essere portato in Svezia e successivamente estradato negli Stati Uniti. Infatti, in territorio americano avrebbe dovuto essere processato per spionaggio cospirazione.

A questo punto Assange si trova a Londra, dove si costituisce nel 2010 in seguito all’emanazione del mandato di cattura europeo. Verrà rilasciato pochi giorni dopo su cauzione, mentre la Svezia presenterà richiesta formale di estradizione. Accolta la richiesta dall’Alta Corte londinese e rigettato il ricorso dei legali, il giornalista chiede asilo politico presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, che lo accoglierà per i successivi sette anni concedendogli anche la cittadinanza (revocata nel 2021 in seguito al cambio di personale dell’ambasciata). Le accuse svedesi verranno archiviate nel 2017 per essere riprese al termine del suo asilo politico nel 2019, finendo, da ultimo, in prescrizione nel 2020.

Julian Assange parla dal balcone dell’ambasciata ecuadoregna (fonte: parool.nl – Immagine di AFP)

Il caso delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti nel 2016

Un caso che aggravò la posizione di Assange, e di Wikileaks in generale, fu quello del Russiagate, ossia la diffusione di email ricevute dall’allora candidata alla presidenza Hillary Clinton che dimostravano il coinvolgimento di Arabia Saudita Qatar nella formazione dello Stato Islamico (ai tempi ISIS) e che indussero a sospettare anche un coinvolgimento degli Stati Uniti. Lo scandalo portò, quantomeno indirettamente, all’elezione dell’opponente Donald Trump. Ad ogni modo, Assange negò qualsiasi connessione con la Russia nella divulgazione di tali notizie, ma fu inevitabile l’incrinarsi ulteriore dei rapporti con gli USA.

Violazione dei diritti umani secondo l’ONU e gli appelli umanitari

Nel luglio 2015, Assange si dichiara in pericolo di vita. Già pochi anni prima il Regno Unito aveva minacciato di voler violare il diritto all’immunità delle sedi diplomatiche per irrompere nell’ambasciata e catturarlo. Pochi mesi dopo, a dicembre 2015, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria dichiara che le vicende vissute dal giornalista dal 2010 sarebbero configurabili come detenzione arbitraria e illegale da parte di Gran Bretagna e Svezia, con conseguente richiesta di liberazione e risarcimento. I due Paesi si rifiutano.

Nell’aprile 2019, il Relatore Speciale ONU sulla tortura, Nils Melzer, si è detto allarmato per la possibile estradizione in quanto l’imputato rischierebbe di subire gravi violazioni dei suoi diritti umani, trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti, perdita della libertà di espressione e privazione del diritto a un equo processo. Il 9 maggio dello stesso anno, Melzer ha visitato Assange e ha riscontrato sintomi di “esposizione prolungata alla tortura psicologica”.

(fonte: sueddeutsche.de – Immagine di Henry Nicholls/Reuters)

Nel 2020 anche il Consiglio d’Europa si esprime a sostegno di Assange, affermando che una sua estradizione risulterebbe in importanti conseguenze non solo per la tutela dei diritti umani, ma anche per la tutela di chi diffonde informazioni riservate nell’interesse pubblico. In sostanza, l’allarme esposto dal Consiglio è quello di un grave colpo anche alla libertà di stampa e al futuro dei giornalisti.

Il secondo arresto e l’ok all’estradizione

Nel 2019 Assange perde l’asilo politico dell’Ecuador e verrà portato via di forza dagli agenti della polizia metropolitana di Londra ammessi nell’ambasciata. Scontate le 50 settimane, gli viene negata nuovamente la libertà, finendo ancora una volta in detenzione preventiva per via della richiesta di estradizione rinnovata dagli Stati Uniti.

Nel gennaio 2021 il tribunale di Londra deciderà sulla richiesta negando l’estradizione sulla base del timore che Assange possa suicidarsi una volta estradato. Tuttavia, nel dicembre dello stesso anno l’Alta Corte accoglierà il ricorso della controparte ammettendo ancora una volta la possibilità dell’estradizione.

Autorizzata formalmente l’estradizione pochi giorni fa, la decisione finale spetta al Segretario di Stato per gli affari interni del Regno Unito Priti Patel. In seguito alla decisione del tribunale, Amnesty International e diversi tra senatori e giornalisti italiani hanno fatto appello per negare l’estradizione ed a favore della liberazione di Assange.

 

Valeria Bonaccorso

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