Fonte: ansa.it

Il caso Cospito torna a far discutere su 41-bis ed ergastolo ostativo

Cospito oggi. Fonte: Open

Negli ultimi giorni, la questione dello sciopero della fame intrapreso dall’anarchico Alfredo Cospito, al 41-bis (“carcere duro”) ormai dallo scorso maggio, ha rianimato il dibattito sulla legittimità del cosiddetto “ergastolo ostativo”, previsto dall’articolo 4-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario del 1975.

In particolare, le disperate condizioni in cui riversa Cospito hanno fatto auspicare per un trasferimento (che è avvenuto nei giorni scorsi) in una struttura carceraria adatta ad affrontare situazioni di emergenza, quale il carcere di Opera in provincia di Milano.

Nel frattempo, numerosissimi appartenenti alla Federazione anarchica informale (FAI), ma anche semplici manifestanti, hanno dato inizio nelle piazze di tutt’Italia a delle proteste più o meno violente richiedendo la fine del regime di 41-bis per il detenuto. Su tale possibilità, in base al reclamo mosso dai difensori di Cospito, il Tribunale di Torino si è già espresso negativamente. Adesso, gli atti giacciono in Cassazione, in attesa che questa si pronunci sul ricorso mosso in seguito al rigetto del Tribunale, in un’udienza fatidica prevista per il 7 marzo.

Le ragioni dello sciopero: 1. Ergastolo ostativo

Cospito, in prigione dal 2013 per diverso reato, rischia di incorrere nella pena dell’ergastolo ostativo per un capo d’imputazione che gli è stato contestato durante la reclusione: un delitto di strage politica commesso in una notte del giugno 2006, quando vennero posizionati due pacchi bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano, a Cuneo.

Fonte: Robert Crow

Secondo le ricostruzioni, la prima esplosione sarebbe stata ideata per attirare gli ufficiali e la seconda (contenente anche chiodi ad altro tipo di oggetti offensivi) avrebbe dovuto raggiungere quanti si fossero radunati. Eppure, quella notte non vi furono né morti né feriti.

In primo grado, la condanna era stata per strage semplice che, in assenza di morti, prevede una pena comunque superiore a quindici anni. Tuttavia, i successivi gradi di giudizio hanno ribaltato la decisione, qualificando il reato commesso come delitto di strage politica, la quale, a prescindere dalla presenza di morti, viene punita con la pena dell’ergastolo ostativo.

L’ergastolo ostativo comporta che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possano essere concesse al detenuto solo nel caso in cui collabori con la giustizia o, a partire dal 2022, nel caso in cui sussistano elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, o la collaborazione sia impossibile o irrilevante.

L’ultima parola spetta adesso alla Corte d’Appello di Torino che, su sollecitazione della Cassazione, dovrà decidere sull’inasprimento della pena da riservare a Cospito. Queste le parole dell’imputato all’ultima udienza che ha sostenuto:

La magistratura italiana ha deciso che troppo sovversivo non potevo avere più la possibilità di rivedere le stelle, la libertà, si è preferito l’ergastolo ostativo, che non ho dubbio mi darete, con l’assurda accusa di aver commesso una strage politica per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno.

Le ragioni dello sciopero: 2. Carcere duro

E tuttavia, per applicare il regime previsto dall’articolo 41-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario non è necessaria una condanna definitiva. Anzi, in virtù della sua funzione preventiva, esso fu introdotto (come lo conosciamo oggi) dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio per impedire ai vertici delle associazioni mafiose di intrattenere rapporti coi rispettivi membri e di dettare a questi ultimi ordini dal carcere.

Il 41-bis viene applicato con decreto motivato del Ministro della Giustizia e prevede la sospensione delle ordinarie regole di trattamento dei detenuti, con conseguenti limitazioni della sfera sociale del detenuto nonché dei suoi spazi, delle sue corrispondenze, addirittura delle attività di studio o lavorative.

A tal proposito, afferma a Il Post Carmelo Musumeci (ex detenuto al carcere duro ed oggi scrittore):

Fonte: FE Week

La mia salvezza è stata studiare, ha assorbito tutte le mie forze. Ma al 41-bis è difficile anche quello, che è invece uno strumento unico e fondamentale per il recupero alla vita civile, che poi dovrebbe essere uno degli obiettivi del carcere.

Nel caso di Cospito, l’ex Ministro della Giustizia Marta Cartabia ritenne di applicare tale misura in virtù delle corrispondenze intrattenute da quest’ultimo con permesso, che finivano per essere pubblicate su delle riviste di stampa anarchica. Secondo Cartabia, infatti, Cospito «istigava esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci».

Ma secondo i difensori, sarebbe bastato attuare un controllo più stretto sulla corrispondenza o emettere uno specifico provvedimento per quello specifico reato. Avrebbe rilievo anche la struttura organizzativa della FAI: trattandosi di un’organizzazione orizzontale dotata di diverse cellule eversive che agiscono autonomamente, sarebbe una forzatura vedere Cospito come “vertice” dell’associazione stessa.

A questo punto, ammessa e non concessa l’offensività dei suoi interventi in stampa nei confronti dell’ordine pubblico, risulterebbe comunque difficile giustificare le ragioni di un tale trattamento che, di solito, viene riservato ai soli elementi di spicco dei clan mafiosi.

41-bis ed ergastolo ostativo: male necessario o strumenti di ubbidienza?

Se la funzione principale della sanzione penale (come immaginata dai Padri costituenti) mira ancora, nell’immaginario collettivo, ad una qualsivoglia rieducazione del condannato, dobbiamo ammettere che nessuna delle due misure risulta compatibile con un tale obiettivo: vuoi perché il totale isolamento risulta antitetico al fine di reinserimento sociale; vuoi perché in alcuni casi la rieducazione non risulta possibile a causa delle circostanze.

E allora bisogna chiedersi se i due istituti rappresentino un “male necessario” di cui la società non può fare a meno o se, piuttosto, (come anche ipotizzato da chi auspica ad un uso limitato di questi strumenti), non rispondano più ad un’esigenza di ritorsioneintimidazione da parte dello Stato nei confronti di chi lo metta in discussione. Se però così fosse, non possiamo escludere la futura possibilità di una configurazione di alcuni istituti penali ispirati al principio dell’ubbidienza, all’adesione (sanzionata) a modelli comportamentali.

E, dopotutto, legare la libertà personale di un soggetto – per quanto colpevole – al solo atteggiamento psicologico della collaborazione, della redenzione nei confronti dello Stato, senza tener conto (com’è stato prima del 2022) delle possibili circostanze che spingano eventualmente il soggetto a non collaborare, rischia di rendere la funzione rieducativa una mera comodità nelle mani di tutti quei pentiti che hanno scelto di collaborare per mere ragioni utilitaristiche, anziché per sincero ravvedimento.

Valeria Bonaccorso

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