Conferenza "Di cosa parliamo quando parliamo di linguaggio ampio" - Redazione UniVersoMe©

Perchè per Vera Gheno “inclusivo” non è un termine davvero inclusivo?

Ancora una volta il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne ospita per il ciclo Grandi Voci UniMe una “grande voce” del mondo della sociolinguistica. Lo scorso 23 ottobre, infatti, è stata ospite del nostro Ateneo la Prof.ssa Vera Gheno per parlare di “linguaggio ampio”.

Chi è, dunque, la paladina della schwa?

Classe ’75, Vera Gheno è – come dice la sua pagina LinkedIn – una sociolinguista, traduttrice e divulgatrice. Si contano numerose le collaborazioni con l’Accademia della Crusca e con varie case editrici, tra cui Zanichelli. Si batte da anni per l’abolizione del maschile sovraesteso per fare largo alla tanto temuta schwa. Sebbene ai più possa sembrare una semplice femminista incallita, lei stessa si definisce transfemminista intersezionale (non lotta solo per i diritti delle donne, bensì per la decostruzione di una serie di bias cognitivi radicati nella mente di ognuno).

Perchè Vera Gheno usa “linguaggio ampio” e non “linguaggio inclusivo”?

Il titolo del convegno tenutosi lo scorso 23 ottobre recita “Di che cosa parliamo quando parliamo di linguaggio ampio?”. Da qui una domanda sulla scelta dell’aggettivo “ampio” diviene quasi naturale e infatti è la stessa Gheno a fugare ogni dubbio, iniziando già a condurre le menti del pubblico verso un cambio di prospettiva.

Vera Gheno durante la conferenza “Di cosa parliamo quando parliamo di linguaggio ampio” – Redazione UniVersoMe©

Sebbene il temine “inclusivo” punti a un buon comportamento da parte di chi compia l’azione di includere, infatti, il problema sta proprio qui: la questione è che ci sia ancora la convinzione che serva qualcuno che, in maniera un po’ caritatevole, dica alla persona inclusa che non ha niente di meno rispetto a una persona “normale”.

Vera Gheno paragona la realtà all’Indovina chi?, facendo emergere che tutto sommato il “normale” tanto rincorso è un’eccezione con meno occorrenze rispetto alle cosiddette minoranze. E allora perchè ancora rincorriamo un’immagine utopica che non ha un reale riscontro nella realtà?

Non più homo sapiens, ma homo narrator!

Gheno parla dell’uomo come unica specie con la facoltà di narrare, l’unico dotato di parola, rimandando a un’espressione latina che spesso viene contrapposta alla più comune espressione homo sapiens: homo narrator.

Ma qual è il potere delle parole? L’espressione non è casuale, bensì rimanda a uno dei saggi più famosi dell’autrice, “Potere alle parole”, che racconta tra le altre cose come, per usare un’espressione letteraria, le parole siano delle pietre (cfr. C.Levi, “Le parole sono pietre”).

La lingua è potere; la decisione rispetto a quali debbano essere la «corretta» conoscenza e la competenza linguistica di un popolo non può essere lasciata alle sole classi dominanti, che chiaramente tenderanno alla conservazione dello status quo. […] La tracotanza va controbilanciata con un altro sentimento, che possiamo prendere questa volta dalla tradizione antica romana: la pietas. Che non vuol dire «pietà», quanto piuttosto «attenzione per il prossimo», non dimenticarsi, insomma, di essere parte di una rete di esseri umani.” (V. Gheno, Potere alle parole, Einaudi, 2019)

Copertina ufficiale Potere alle parole di Vera Gheno – Einaudi

Un aspetto curioso emerso durante la discussione è: si può dare per assodato che le questioni di lingua siano in realtà problemi legati alla politica e alla società e pertanto il linguaggio si adatta in modo camaleontico alla realtà che ci circonda, ma è possibile che accada il contrario?

Secondo Vera Gheno sì. Cambiando e scegliendo le parole si può cambiare la narrazione della realtà, di conseguenza modificare il punto di vista sulla realtà e infine creare nel parlante – che poi coincide con l’homo narrator – il desiderio di cambiare il mondo in cui vive. La lingua, infatti, è da un lato la cartina tornasole di un quadro sociale, ma anche un tarlo che può piano piano insinuarsi nel mondo.

Si esce dalla conferenza di Vera Gheno, come previsto, non con dei semplici e sterili sensi di colpa, ma piuttosto con un seme piantato e con una consapevolezza in più: la presa di coscienza che, seppur in buona fede, spesso non si sappia usare il potere delle parole.

Giulia Cavallaro

di Rubrica Inchiostro

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