La famiglia, l’istruzione, la cittadinanza, il senso di stabilità economica percepito sono solo alcuni dei temi su cui l’Istat ha condotto la sua ultima indagine. I soggetti protagonisti, come di rado accade in un Paese “anziano” quale è l’Italia, sono i giovani, o i giovanissimi (ragazze e ragazzi dagli 11 ai 19 anni).
A un campione degli imberbi di oggi è stata posta una serie di domande per ricavare un disegno utile a leggere i problemi da loro attualmente sentiti, come quelli che domani potrebbero attanagliare una prossima generazione di adulti.
I risultati sono per certi versi sospettabili ma per altri persino controcorrente rispetto alle cristallizzate credenze popolari. Sul tema famiglia, soprattutto, una sfavillante sorpresa. Il luogo comune recita che i giovani non vogliono più fare figli, volendo sostituire questi questi con cani, gatti e insano materialismo; ma sarà davvero così? Quanto c’è di puramente vero e quanto di stereotipato? Le statistiche, la matematica – che mai mente – raccontano qualcosa di diverso.
I giovani e la loro voglia di famiglia
La ricerca Istat è varia, grande, e per spulciarla e commentarla interamente occorrerebbe certamente più di un solo articolo. Per questo, a chi avesse la curiosità di spaziare, qui di seguito si lascia l’originale link da consultare: INDAGINE BAMBINI E RAGAZZI | ANNO 2023
Ciò scritto, già dal titolo, il focus di questo articolo vuole porsi sul risvolto forse più controintuitivo dell’indagine: ovvero le previsioni, le sensazioni circa l’inverno demografico italiano e la prossima generazione che verrà a confrontarcisi.
Il rapporto ci dice, facendosi ben sperare, che:
- ben tre ragazzi su quattro vedono un futuro in coppia e altrettanti pensano al matrimonio, solo il 5,1% invece immagina di vivere da solo, mentre gli indecisi superano di poco il 20%;
- il 69,4% dei ragazzi e delle ragazze dice di volere dei figli, il 21,8% è indeciso e l’8,7% dice di non volerne, per di più: pochissimi, secondo il rapporto, pensano al figlio unico, la maggior parte ne vuole almeno due, mentre il 18,2% pensa a tre o più figli.
L’Istat, nel commentare i propri risultati, si spinge ad affermare ottimisticamente che “una ripresa demografica non sembrerebbe impossibile”. Indicando però anche la necessità di “creare le condizioni affinché almeno una parte di indecisi (21,8%) sia portata a cambiare idea in futuro”, per mirare a un esito che non sia semplicemente compensativo ma finanche efficace nel voltare il paradigma culturale sulla natalità.
A proposito di condizioni favorevoli e sfavorevoli, poi, l’indagine dona altri spunti, investigando il grado di sicurezza economica e benessere percepito dai millennials.
Il futuro in Italia preoccupa
Il 41,3% dei giovanissimi dice che il futuro lo affascina, ben il 32,3% ne ha paura e il 26,5% non sa o non pensa al futuro.
Rispetto all’indagine condotta nel 2021, la quota di coloro che si sentono affascinati dal futuro è diminuita di quasi 5 punti percentuali, mentre è cresciuta di 5 punti e mezzo la quota di chi ha paura e, fra le ragazze, è maggioritaria la quota di chi ha paura del futuro (42,1%, addirittura il 56% tra le 17-19enni) rispetto a chi ne sente il fascino (35,9%).
La situazione economica condiziona moltissimo. Tra coloro che dichiarano di avere una “situazione economica molto buona” chi è affascinato dal futuro raggiunge il 48,5%, chi ne ha paura il 26,9%; tra coloro, invece, che percepiscono la situazione economica familiare come “per niente” o “non molto buona” il 32,8% è affascinato dal futuro mentre il 40,8% ne ha paura.
Altrove è la destinazione
In ogni caso l’avvenire è spesso immaginato altrove. Oltre il 34% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, infatti, da grande vorrebbe vivere in Paese diverso: negli Stati Uniti, in Spagna o in Gran Bretagna. Nazioni, specialmente le anglofone, simbolo del capitalismo, dell’innovazione e della modernità.
Qui le statistiche forse riaffermano i luoghi comuni. Sarà la continua negative campaigning praticata dal giornalismo nazionale che enfatizza i problemi effettivamente presenti nel Belpaese, saranno i problemi stessi a pesare in una loro misura specifica; quel che scaturisce – tra sensazioni sul reale e dal virtuale – è comunque un pessimismo quasi generalizzato, che porta a credere – chissà se fallacemente – che pressappoco ogni luogo sia migliore da vivere rispetto a quello di nascita.
Che altrove sia sempre superiore a qui, per sentito dire però, e non necessariamente per comprovata esperienza.
Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti sono Paesi perfetti? O sono perfettibili, come è perfettibile l’Italia?
Gabriele Nostro