Truth – il coraggio di Blanchett e Redford e la vittoria della politica sul giornalismo

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Devo fare una premessa prima di cominciare questa recensione : ho avuto la fortuna di vedere questo film in lingua originale e sono dell’avviso che, per quanto il doppiaggio italiano sia valido, alcuni film non andrebbero doppiati perché si perde buona parte della interpretazione (l’opera rientra nella categoria).

Truth di James Vanderbilt è ispirato alla storia vera di Mary Mapes e Dan Rather, la prima produttrice televisiva e il secondo famosissimo conduttore di “60 minutes” programma della CBS.
Furono i promotori di una inchiesta riguardante il presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush il quale si sarebbe sottratto alla Guardia Nazionale durante la guerra in Vietnam.

Dan Rather fu costretto a scusarsi pubblicamente e rassegnare le dimissioni in seguito alla controversia nata da questa storia.
La produttrice Mary Mapes fu licenziata.
Vicenda sottaciuta dalla  stampa e di cui ancora si discute poco in America. La stessa CBS si è rifiutata di trasmettere il trailer di questo film.

Il regista James Vanderbilt si è basato per la sceneggiatura del film sul memoriale della Mapes.
I protagonisti sono Cate Blanchett che veste i panni di Mary Mapes e Robert Redford è Dan Rather. A loro si affiancano Dannis Quaid, Topher Grace e Elisabeth Moss.
Il nome di Redford vicino al termine giornalismo ci fa subito pensare a “Tutti gli uomini del presidente” e la sua interpretazione è parimenti valida.
Cate Blanchett , la quale ha raccontato di aver parlato con la Mapes per capire come interpretare il personaggio e soprattutto il legame di fedeltà fra lei e Rather, esegue una performance eccellente, si trasforma (come in Blue Jasmine) con l’aumentare della pressione che la circonda. Dannis Quaid interpreta egregiamente un ex marine che terminato il suo incarico lavora per 60 minutes e Topher Grace nei panni del freelance raggiunge l’apice nel momento dello “sbrocco” dovuto alla rabbia per il tradimento dei capi della CBS davanti a tutta la redazione.

È un film intenso,  con inquadrature nette e chiarezza nei dialoghi; analizza il rapporto politica-giornalismo in America.
Parla di quel giornalismo che non si ferma a notizie di prima mano ma va a fondo delle informazioni , della ricerca della verità (Truth appunto) caratteristica di un giornalismo d’inchiesta che , ad oggi, abbiamo difficoltà a trovare.
Altra parola preminente è “trust”: il rapporto di stima ed estrema fiducia fra Mary Mapes e Dan Rather che riusciamo a capire completamente al termine del film quando Mary chiede a Dan perché non le abbia mai chiesto se fosse certa della veridicità dei documenti e lui risponde che non ne aveva bisogno.
“Courage” è la parola con cui Rather concludeva in passato le sue inchieste e aveva smesso di pronunciare, ma è anche caratteristica di Mary Mapes e di tutto il suo team. Coraggio di non mollare mai. Parola con cui Dan Rather si congeda definitivamente dal suo lavoro, dedicandola a tutti coloro che hanno lavorato con lui, tutti gli ascoltatori, a chiunque voglia raggiungere la verità.

La narrazione è lineare , si inserisce nel filone dei film riguardanti il giornalismo d’inchiesta (v. Spotlight) di quest’anno e di una lunga lista andando indietro nel tempo (Tutti gli uomini del presidente, Quinto potere, Qualcosa di personale, Il duello) .

Ci lascia con l’amaro in bocca: prima dei titoli di coda una affermazione su sfondo nero ci informa che la CSB vinse un Peapody grazie all’inchiesta di Mary Mapes su Abu Ghraib una dei capisaldi del giornalismo.
La donna non lavora più nel giornalismo televisivo dal 2004.
E lascia noi desiderosi di sapere più verità sul mondo che ci circonda.

                                                                                                                                      Arianna De Arcangelis

di Arianna De Arcangelis

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