Matricole, istruzioni per l’uso

461042. Non è il mio numero di cellulare (un po’ troppo corto in effetti anche se lo ricorda abbastanza) e neanche il mio CAP; né il codice dell’ultimo rossetto Red Wine che ho comprato da Wycon o i giorni che mancano all’estate. Nulla di tutto ciò. È il mio numero di matricola.

Quarantaseidieciquarantadue. Ma che vuol dire? Sono la quattrocesessantunomilaquarantaduesima iscritta? No, veramente. Spiegatemelo! È un dubbio che mi tormenta da anni, anzi mi ATTANAGLIA.

Giusto per farmi un po’ la secchioncella acculturata di turno. E sfigata aggiungerei, perché mentre vago alla ricerca di un ascensore al mio terzo anno di università, mi vedo inondata da una mandria di giovani altissime, levissime, purissime studentesse, che io, col mio metro e cinquantacinque portato pure male, posso solo levare i tacchi – che non indosso – e filarmela.

– Quelle sono sicuro matricole!
Già, perché le matricole le riconosci subito! Innanzitutto le vedi vestite di tutto punto (maschietti e donzelle) che la Milano Fashion Week a confronto diventa la sagra della melanzana di un qualche paese sperduto dell’entroterra catanzarese.
Secondo, si fanno accompagnare in segreteria dai loro genitori. Non ridete. L’abbiamo fatto tutti. L’ho fatto anch’io. Era il primo giorno del primo anno di università. Città nuova, vita nuova, la tremarella alle ginocchia e tanti quesiti a cui non sapevo dare risposta. “Risulterò iscritta?” “Ma gli esami come funzionano?” “I CFU cosa sono? Si mangiano?”. In merito a quest’ultima domanda, nei miei quasi tre anni da universitaria, mi sono resa conto che in effetti i CFU non si mangiano, si conquistano! E così, tra corsi, tirocini, palestra, conferenze, incontri case libri auto viaggi fogli di giornale, ho imparato a vivere “un quarto di CFU alla volta”.

Ma ritorniamo a noi. Cioè a voi. Cioè a loro, la combo matricola + genitore in segreteria. La coppia si apposta battagliera davanti agli sportelli ad orari improbabili, importunando lo stremato malcapitato di turno col quizzone “e tu, quando ti laurei?” (regola di sopravvivenza numero 1: mai porre questa domanda ad uno studente universitario!) e soprattutto passandoti avanti perché <<Ho la pasta sul fuoco, scusaci gioia, dobbiamo giusto capire due cosette. Saremo veloci, promesso>>. E lo sai tu e lo sanno loro che quel “saremo veloci” è più falso di tua mamma quando da piccolo cadevi e ti diceva “vieni qui, non ti faccio niente”.

Infine, ma non per importanza, le matricole sono sempre effervescenti e sorridenti.
Ora, effervescente solo se sei un’aspirina. Poi, a meno che non abbiate vinto al lotto o ereditato un bel po’ di quattrini da qualche sconosciuto e lontano parente morto chissadove e chissapercosa, io non capisco davvero cosa ci sia di così divertente nelle lezioni delle 09:00 del mattino.
Gli stessi geni caricano poi foto e boomerang nelle proprie Instagram Stories in diretta dalle proprie aule studio, accompagnati dagli originalissimi hashtag #machimelhafattofare e/o #nonnepossopiù al quarto giorno di lezione. Ma, esattamente, di cosa “non ne potete più” se avete passato la metà del tempo a ricercare la luce giusta per i vostri selfie o a fumare nei cortili per tentare di abbordare qualcuno/a? Vi dico solo una cosa, anzi due: SESSIONE INVERNALE e SESSIONE ESTIVA. E non penso di dover aggiungere altro.

Benvenuti all’università, care gioiose matricole, una selva oscura di pentiti e peccatori. L’unico luogo in cui sai quando entri ma non sai quando e se esci. Una camera a gas ricolma di ingenui condannati a morte.

Quarantaseidieciquarantadue, quarantaseidieciquarantadue… forse ora inizio a capirci qualcosa.

Elisa Iacovo

di Redazione UniVersoMe

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