Pareidolia: ecco perché vediamo volti ed oggetti nelle nuvole

Vi sarà già capitato che, osservando il cielo, vi siate imbattuti in figure che vi ricordano oggetti, animali o addirittura dei volti. Questo fenomeno prende il nome di pareidolia (dal greco para, “vicino”, ed èidōlon, “immagine”), ovvero la tendenza ad interpretare uno stimolo vago come qualcosa di già noto a chi osserva.

Gli esempi sono molteplici: dai volti su formazioni rocciose a messaggi estrapolati da brani musicali ascoltati lentamente o al contrario (pareidolia acustica), fino a figure rilevate da immagini della superficie della Luna o di Marte:

Qualsiasi coppia di oggetti può potenzialmente assumere una disposizione tale da “ingannare” il nostro cervello, risultandoci a prima vista parte di un volto o un’immagine alternativa più familiare. Uno studio del 2009, infatti, utilizzando una metodica chiamata magnetoencefalografia, che permette di quantificare l’attività cerebrale mediante la misurazione dei campi magnetici, conferma come il cervello risulti effettivamente “ingannato”. Mostrando a un gruppo di soggetti delle immagini vagamente simili a delle facce reali, si è notata l’attivazione delle stesse aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti (e probabilmente anche di altri oggetti), a livello del lobo temporale, nell’area fusiforme facciale.

Questa tipologia di immagini “ambigue” ma dotate di un significato sembrerebbero lasciare una traccia duratura nel nostro cervello. Come dimostrato in uno studio pubblicato nel 2013, in seguito a ripetuti stimoli, il cervello interpreterebbe le immagini dandogli un significato e le archivierebbe mostrando quindi una forma di apprendimento, similmente a quanto avviene per immagini reali.

Il fenomeno sembrerebbe quindi fondamentale nell’apprendimento del significato di specifiche immagini, così da rendere possibile ad alcune persone di essere più veloci e abili di altre in specifici compiti. Basti pensare che i giocatori di scacchi professionisti attivano l’area in questione per riconoscere alcune situazioni di gioco ed essere più rapidi nell’elaborare una strategia; analogamente anche i radiologi esperti, al contrario degli studenti, nell’analizzare le immagini fanno uso delle potenzialità di questa regione del cervello.

Tutto ciò avrebbe anche un collegamento con una patologia del neurosviluppo, ovvero l’autismo. Infatti, nei soggetti affetti da questa condizione, è stata rilevata un’attivazione più debole dell’area in maniera proporzionale alla gravità della malattia stessa. Inoltre un danno a quest’area comporta l’assoluta incapacità nel riconoscere i volti. Questa condizione è chiamata prosopagnosia.

Anche se, durante la colazione, vedere che il caffè sorride ci possa sembrare una cosa divertente, è interessante pensare come dietro a questo fenomeno siano coinvolti dei meccanismi che stanno alla base delle nostre capacità di apprendimento e di relazione. La tendenza di vedere volti e in generale di dare un significato alle immagini, nasce dalla necessità di analizzare lo spazio intorno a noi e di identificare rapidamente la presenza di altri soggetti, di animali o di oggetti potenzialmente utili.

La pareidolia è quindi la dimostrazione pratica delle capacità di elaborazione e schematizzazione del nostro cervello che, seppur con finalità diverse, ci offre tutte le sue potenzialità sia in una situazione di pericolo sia nel caso in cui stessimo giocando una partita a scacchi, o anche quando osserviamo il cielo.

Antonino Micari

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