Armenia e Azerbaigian di nuovo in guerra. Ecco quali sono le cause e le idee di un conflitto non nuovo

Da domenica 27 settembre l’Armenia e l’Azerbaigian sono ufficialmente di nuovo in guerra. Le due nazioni ex sovietiche hanno deciso di terminare quella pace che perdurava dal 1994 riesumando delle ostilità che si trascinano ormai dalla fine degli anni ’80. La causa del contrasto è la questione concernente una zona di territorio: il Nagorno-Karabakh, una regione dell’Azerbaijan che è però abitata in maggioranza da armeni di religione cristiana.

Mappa della zona interessata – Fonte: abc

Le cause

La confessione religiosa e l’appartenenza etnica differente rispetto al contesto culturale musulmano che caratterizza la regione del Nagorno-Karabakh sono state da sempre causa di tensioni e spinte indipendentiste.

In questa specifica circostanza il casus belli nasce dalla proclamazione dell’indipendenza di questo territorio avvenuto in concomitanza della secessione dell’Azerbaigian dall’URSS. Proclamazione avvenuta nel 1992 che peraltro, formalmente, farebbe leva su una pretesa legittima in quanto prevista da una legge dell’Unione Sovietica di cui quel territorio in passato ha fatto parte.

Questa legge prevedeva che, se all’interno di una repubblica che aveva deciso di scindersi  dall’Unione (in questo caso l’Azerbaigian) si fosse trovata una regione autonoma (cioè il Nagorno-Karabakh), quest’ultima avrebbe avuto il diritto di scegliere se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall’unione. Già nel 1991, quando l’Azerbaigian lasciò l’Unione Sovietica per diventare indipendente, la regione in questione aveva deciso di fare valere questo suo diritto proclamandosi indipendente e ricevendo addirittura l’avvallo della Corte Costituzionale Sovietica, ma dando così l’avvio a una serie di conflitti al confine tra Azeri e Armeni. L’Azerbaigian combatteva per l’annessione del territorio mentre l’Armenia intervenne per difendere l’indipendenza. Questo sino al 1994 quando, con una fragile pace, terminarono i conflitti con un bilancio finale di trenta mila morti e sostanzialmente una situazione di stallo.

Situazione che, con alti e bassi, è rimasta tale fino a domenica, da quando i due stati sono ufficialmente di nuovo in guerra. Non è chiaro chi abbia iniziato il conflitto: da una parte Baku accusa l’Armenia di averli attaccati abbattendo degli aerei e distruggendo un tank, dall’altra parte Erevan sostiene di avere subito un bombardamento al quale avrebbe risposto successivamente con una controffensiva.

Erdogan e Putin – fonte: Il Fatto Quotidiano

Gli schieramenti

Ovviamente le tensioni tra le due nazioni non lasciano indifferenti gli attori dell’area mediorientale e un aggravarsi del conflitto rischierebbe di coinvolgere altre potenze con interessi nel Caucaso. L’Armenia può contare sullo storico appoggio della Russia la quale sta cercando di spegnere il vento di guerra e, attraverso il suo famoso ministro degli esteri Sergey Lavrov, ha reso noto di stare lavorando a dei negoziati di pace. L’Azerbaijan, nazione a maggioranza sciita, può invece contare sul supporto della Turchia il cui presidente, Recep Erdogan, ha deciso di adottare una posizione tutt’altro che diplomatica definendo l’Armenia, paese di meno di tre milioni di abitanti, come “la più grande minaccia per la pace e la tranquillità dell’area”. Ankara, com’è giusto ricordare, non ha relazioni con l’Armenia per via del nodo irrisolto del genocidio armeno ed ha accolto in maniera dura la notizia dello scoppio delle ostilità trasferendo circa quattro mila miliziani dai distretti regionali della Siria all’Azerbaigian. Segno evidente che Erdogan non ha intenzione di limitarsi al supporto morale.

La storia non si ferma

Lo scoppio delle ostilità sulla base di tensioni etnico-religioso ci lascia con una considerazione non indifferente: per quanto la storia ci insegni i suoi errori questi ultimi, in un modo o nell’altro, si ripeteranno sempre. Esiste infatti un elemento ideologico comune a quasi tutti i grandi conflitti che hanno avuto luogo nel corso del ‘900 e cioè la persecuzione dei tanti contro i pochi. Basti pensare alle numerose “pulizie etniche” avvenute solamente nel continente europeo in cui il gruppo etnico dominante in un determinato territorio cerca di salvaguardare la propria identità e i propri privilegi mettendo in piedi operazioni di allontanamento forzato o di sterminio contro una minoranza etnico. E così, lontano dai riflettori, sono stati e forse tuttora vengono compiuti i peggiori crimini. Senza scomodare l’esempio dello Shoah, si possono citare il Massacro di Srebrenica o il Genocidio degli Armeni. La comunità internazionale non può e non deve rimanere indifferente.

Filippo Giletto

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