(fonte: larepubblica.it)

Ennesimo caso di sfruttamento di lavoratori. Coinvolta la moglie del Capo “Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione” del Viminale

Un sistema “quasi perfetto“, impossibile da scoprire secondo chi lo aveva messo su, quello ha fatto venire alla luce dalle indagini condotte nel foggiano: dieci aziende e due uomini di origine straniera, Bakary Saidy e Kalifa Bayousati, usati come anello di congiunzione da queste ultime per sfruttare decine di braccianti, anch’essi stranieri, per dei lavori nei campi

Si tratta, dunque, dell’ennesima notizia di sfruttamento. Già di per sé sconcertante, è rimbalzata subito tra le pagine dei maggiori quotidiani per il presunto coinvolgimento di Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del Capo del Dipartimento “Libertà civili e Immigrazione” del Viminale, nonché prefetto, Michele di Bari.

(fonte: larepubblica.it)

 

Il blitz

Sedici le persone coinvolte e cinque quelle arrestate, di cui due in carcere e tre ai domiciliari. Le accuse sono di caporalato e sfruttamento ai danni dei lavoratori di origine straniera.

Per ora, per Rosalba Livrerio Bisceglia è scattato l’obbligo di dimora, come per gli altri dieci indagati, mentre sono stati portati in carcere i due cittadini stranieri, un senegalese e un gambiano, che, come detto precedentemente, fungevano da tramite nel giro di affari“. Sarebbero stati loro a intimare ai poveri braccianti “specifiche sulle modalità di comportamento in caso di accesso ispettivo da parte dei carabinieri“.

La delicata e complessa attività d’inchiesta Terra Rossa” è coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia. Ciò che ha spinto le forze dell’Ordine ad aprire queste indagini è stata la consapevolezza di una diffusa e ben radicata illegalità nelle campagne del foggiano, riscontrata tramite i quotidiani controlli effettuati su tutta l’area dai Carabinieri.

Sono state, dunque, sottoposte a verifica le attività delle aziende indagate comprese tra luglio e ottobre 2020. Il blitz è prosieguo dell’operazionePrincipi e Caporali”, che nell’aprile scorso ha portato all’arresto di dieci persone e al controllo giudiziario della situazione finanziaria di alcune aziende agricole, il cui giro d’affari ammontava a cinque milioni di euro. 

 

Le dimissioni di Michele di Bari in seguito all’accaduto

«Sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati». 

Michele di Bari presenta le dimissioni al ministro dell’Interno Lamorgese (fonte: ilgiornale.it)

Queste le dichiarazioni del prefetto Michele di Bari in merito all’accaduto, accompagnate dalla rassegna di dimissioni dall’incarico Capo Dipartimento Libertà civili ed Immigrazionedel Ministero dell’Interno. Appena la notizia, ieri, è trapelata, di Bari non ha aspettato per presentare le sue dimissioni, accettate dal ministro Luciana Lamorgese.

La moglie è la socia titolare dell’azienda di famiglia con sede legale a Foggia “Sorelle Bisceglia”, guidata con le sorelle Antonella e Maria Cristina. Un nome che nel settore agricoltura del territorio, e anche presso Mattinata, paese del prefetto Di Bari, è “un’istituzione”. Questa è una delle dieci aziende agricole che avrebbero, appunto, secondo gli inquirenti, fatto ricorso alla manodopera clandestina.

Le accuse per la Bisceglia sono pesanti: sarebbe stata lei a trattare direttamente con i caporali e con il «sorvegliante» dei campi, Matteo Bisceglia, ma anche ad occuparsi delle buste paga fasulle.

Tornando a di Bari, quest’ultimo ha avuto una carriera di otto anni come prefetto vicario di Foggia, costellata da successi fino all’attuale carica e all’assegnazione di un compito delicato: trasformare laccampamento di Borgo Mezzanone – da cui provengono anche i braccianti sfruttati, secondo l’accusa, dalle dieci aziende sotto indagine tra cui la Sorelle Biscegliain una cittadella dell’accoglienza. I lavori non sono mai cominciati a causa Covid, nonostante vengano citati nelle carte come “Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027“.

Le accuse contro la moglie, nonostante le indagini debbano ancora andar avanti, sono bastate per spingere di Bari ad agire in maniera netta, cercando di portare maggior chiarezza intorno alla sua posizione e quella di sua moglie, che continua a giudicare estranea ai fatti.

 

Il “sistema quasi perfetto” che costringeva i braccianti a vivere in condizioni disumane

Secondo quanto emerso finora, gli imprenditori agricoli indagati si sarebbero rivolti a uno dei due arrestati, il cittadino originario del Gambia, per reclutare la manodopera poi impiegata nei campi. 

Le condizioni a cui quest’ultima era sottoposta prevedevano, innanzitutto, 13 ore al giorno di lavoro nelle piantagioni di pomodoro, per un guadagno misero. Cinque milioni di euro nelle tasche degli imprenditori, ricavati sulla pelle dei braccianti istruiti dai caporali a mentire sulla retribuzione: invece di percepire 65 euro al giorno per 7 ore di lavoro, non ne guadagnavano più di 35 per 13 ore, che diventavano 25, perché 5 euro dovevano essere ceduti per il trasporto e altri 5 per la intermediazione al suddetto uomo di origini gambiane, il presunto caporale.

Quest’ultimo teneva il conto di quanto raccolto da ogni lavoratore su un quaderno. Sempre questa persona trasportava i braccianti, tramite mezzi precari, nell’accampamento di Borgo Mezzanone, dopo il lavoro. Qui vivono accampate circa duemila persone, in condizioni disumane, tra la sporcizia.

Il soggetto summenzionato, veniva aiutato dal senegalese 32enne, la seconda persona finita in carcere. Entrambi avrebbero fatto da tramite per le imprese per cui svolgevano le attività illecite.

Un sistema definito dagli inquirenti “quasi perfetto”. Appunto, “quasi”. Tutto è venuto alla luce tramite un controllo sulle buste paga dei braccianti sfruttati, riscontrate non in linea, ovviamente, con le ore di lavoro realmente svolte. 

Nessun riposo e nessun rispetto per questi lavoratori, dunque, finiti in un’infernale macchina con la quale, i colpevoli che verranno decretati dalle forze dell’ordine, volevano guadagnare a scapito di questa povera gente, indifesa e con il bisogno di lavorare per vivere, anzi, sopravvivere.

 

Rita Bonaccurso

 

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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