Dahmer
Jeffrey Dahmer (Evan Peters) in una scena della serie "Dahmer. Monster: The Jeffrey Dahmer Story". Cr. © 2022

Dahmer: mille sfumature di mostro

Dahmer, una serie contorta e controversa che ricostruisce le vicende che hanno portato alla nascita di un mostro. – Voto UVM: 5/5

 

Una storia reale, ambienti cupi al limite del claustrofobico, una continua ricerca delle profondità psicologiche; questo e tanto altro è la controversa serie tv diffusa su Netflix firmata da Ryan Murphy che, in dieci episodi, racconta la storia di uno dei più celebri serial killer che ha sconvolto l’America e il mondo intero.

Stiamo parlando di Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, che nel giro di poco tempo è diventata la serie dei record, scatenando una bufera mediatica che ha riaperto una ferita profonda nel cuore degli americani.

La nascita di un mostro o…

Lo show composto da dieci episodi, si presenta come un racconto solido, che mira alla profondità priva di esagerazioni e fronzoli narrativi. Una tensione in crescendo che ci accompagna puntata dopo puntata, non solo nel racconto degli orribili omicidi e del modus operandi del serial killer, ma soprattutto andando a ricostruire la degenerazione della psiche già frammentata e dolorosa di Dahmer, senza giustificarlo in alcun modo; eppure, mettendo in evidenza le numerose contraddizioni che caratterizzavano una società ottusa e anaffettiva dell’America degli anni ’70-’80.

La serie gioca molto sui flash-back, in un susseguirsi di immagini che delineano il profilo di Jeffrey dall’infanzia solitaria, ad un’adolescenza trascorsa in preda ai fumi dell’alcool ed alla vita adulta segnata dalla sindrome dell’abbandono.

La storia così rimane per la prima parte slegata dagli omicidi per tratteggiare una personalità realistica, costretta alla repressione della sua sessualità da una società intollerante che lo costrinse a rinchiudersi in una rabbiosa solitudine, fino all’esplosione di quell’odio covato sulle prime vittime, rendendolo da quel momento un mostro.

L’incubo di Milwaukee

Jeffrey Dahmer, responsabile di diciassette omicidi effettuati tra gli anni 1978 e 1991, è diventato nel tempo un vero e proprio incubo vivente. Lasciato libero nonostante i sospetti e le segnalazioni dei vicini su di lui, ha protratto indisturbato la sua attività per più di un decennio.

Il racconto di Murphy non cade nei dettagli orrifici ma procede mettendo al centro dello schermo la personalità del suo protagonista più degli orribili omicidi, attraverso un continuo di rimandi psicologici che cerca di definire un personaggio complicato, ma non per questo meno colpevole o barbarico. A cominciare dallo sviluppo del suo modus operandi nella cantina della nonna fino all’appartamento degli orrori in cui verrà dilaniata la sua ultima vittima.

Le sequenze più violente vengono in maniera magistrale intervallate da caratterizzazioni del passato tormentato di Dahmer e successivamente da scorci che si aprono sulle vittime e sui loro famigliari, fino ai risultati mediatici occorsi nel periodo successivo all’arresto. La parte finale, si allontana dal protagonista per gettare una luce oscura sull’America e sul dolore dei parenti in lutto, dimostrando un rispetto verso una ferita aperta che si è cicatrizzata solo nei fatti.

Ora è finita. Non ho voluto mai la libertà. Sinceramente, volevo la pena capitale per me stesso. Qui si è trattato di dire al mondo che ho fatto quello che ho fatto, ma non per ragioni di odio. Non ho odiato nessuno. Sapevo di essere malato, o malvagio o entrambe le cose.

 

Dahmer
Jeffrey Dahmer (Evan Peters) in una scena della serie. Distribuzione: Netflix. Regia: Ryan Murphy. Fonte: thetab.com

Dahmer: interpretazione da Emmy

Alla riuscita di questa rappresentazione, che ha portato la storia di un uomo sicuramente malato ma soprattutto in grado di spingersi oltre qualsiasi limite immaginabile, concorrono le interpretazioni impeccabili dei suoi attori protagonisti, in particolare spicca quella del grandioso Evan Peters – che già aveva lavorato con Murphy in AHS – completamente calato nella parte del killer. Il Dahmer da lui rappresentato prende vita nel doloroso binomio vittima-maniaco che l’interprete riesce a riflettere impeccabilmente attraverso un gioco fatto di uso degli occhi e del fisico.

 

Gaetano Aspa

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