Intervista a Simona Dalla Chiesa: “la famiglia è il porto dove mi rifugio”

Nel quarantennale della strage di via Carini, l’Università degli studi di Messina ha ricordato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con l’evento “Un eroe del nostro tempo”. Sono state parecchie le riflessioni elaborate durante tutto il convegno e non sono mancati i momenti di commozione per Simona Dalla Chiesa che, dimostrandosi degna figlia di suo padre, ha condiviso con tutti noi una bellissima testimonianza. Manifestando la sua speranza per un futuro migliore, pronto ad imparare dalla storia. Perché lei, come suo padre, ha capito che per lottare contro le ingiustizie, bisogna curare le menti. E di questo ne parla nella breve intervista che ha rilasciato per UniVersoMe.

Lei ha parlato dell’importante rapporto che ha mantenuto con i suoi fratelli, soprattutto dopo l’accaduto. E credo che anche per questo, meglio di altri, possa capire il “vero” valore della famiglia e di quei legami importanti che non svaniscono col tempo.  

Per me la mia famiglia è veramente il porto e, allo stesso tempo, il faro dove mi rifugio e dove trovo sempre la forza per andare avanti. Purtroppo, siamo stati privati della presenza di papà e mamma troppo presto, però loro ci avevano dato talmente tanto amore, talmente tanti insegnamenti che ce li siamo “spalmati” lungo tutta la vita. Noi tre fratelli, pur vivendo in tre città differenti, ci “whatsappiamo” senza fine, ci controlliamo, litighiamo come tutti e ci ritroviamo. Siamo veramente un’unica cosa. Penso che questo sia veramente importantissimo perché nessuno di noi può vivere solo e può farcela da solo. La forza dell’amore e l’amore della famiglia sono fondamentali per andare avanti; chi aveva un momento di cedimento poteva trovare nell’altro il coraggio di riprendersi e viceversa. Mio padre ci aveva lasciato proprio questo messaggio: “vogliatevi sempre il bene di ora” . Oggi sarà, insieme a mamma, molto orgoglioso di noi.

Ph: Gianluca Carbone. La giornalista Simona Dalla Chiesa con il nostro redattore Domenico Leonello

Suo padre nell’ultimo periodo di vita aveva capito che per lottare contro la mafia bisognava curare le menti e la cultura. Nel convegno di oggi anche il Professore Chiara e il Dottore Crescenti hanno riconosciuto il potere che i libri e il cinema hanno nel portare alla luce la nostra storia. Recentemente è stata prodotta sia una docuserie su suo padre ed è anche andata in onda la serie tv “Esterno Notte” sul rapimento di Aldo Moro. Secondo lei è un bene che certi fatti vengano ripresi dal mondo seriale con l’intenzione di farli conoscere ad un pubblico sempre più ampio e, in particolar modo, alle nuove generazioni, o c’è il rischio che possano essere distorti e quindi non arrivare al grande pubblico per come dovrebbero?

Io sono del parere che queste fiction, documentari, film, libri, abbiano un valore enorme. Hanno la capacità di arrivare, nel giro di poco, ad una platea che non sarebbe mai raggiungibile neanche attraverso un’attività,  seppur capillare e diffusa, di conoscenza diretta. L’importante è che in questi film non si metta in risalto il negativo, come spesso accade. Perché se non si ha una spiccata capacità critica o qualcuno che ne accompagni la visione, è possibile che in certi ragazzi possa scattare un senso di emulazione o di riconoscimento nei confronti di figure che sono assolutamente negative. Quindi, chi produce questo tipo di film e di fiction, dovrebbe far emergere la lotta della giustizia contro il crimine, del bene contro il male, della fratellanza contro la violenza e non indurre ad un’ammirazione nei confronti di chi si è macchiato dei peggiori delitti.

Il direttore de “Il Fatto Quotidiano” ha di recente affermato, appellandosi al Parlamento, che è “la realtà storica a dover essere ricostruita”. In che modo, secondo lei, le istituzioni dovrebbero rendere nota quella “realtà storica” da troppo tempo ormai nascosta?

Io penso che sia necessario fare luce su tante storie che hanno infangato sia il nostro Paese che il buon nome delle nostre istituzioni. Penso che i rapporti tra servizi segreti,  quelli deviati ovviamente, tra politici e tra uomini della mafia, siano assolutamente certi. La mia paura è quando si generalizza, ovvero nel momento in cui, partendo dai fatti reali, si fa del qualunquismo per togliere credibilità e fiducia nelle istituzioni. Dovrebbe, invece, essere un interesse dello Stato far luce su quello che è accaduto per delimitare le responsabilità e non mandare un messaggio di sfiducia nelle nostre istituzioni.

Non sono in pochi ad affermare che la trattativa stato-mafia c’è stata ma che sono stati chiamati a risponderne soltanto gli uomini della mafia. In che modo, secondo lei,  le odierne istituzioni, dovrebbero reagire ad un’ affermazione del genere?

Ne hanno risposto solo i mafiosi perché tante responsabilità non sono state tutt’ora accertate rimanendo nell’ombra, mentre sono state tirate in ballo persone che non c’entravano niente (v. depistaggi strage Via D’Amelio n.d.r.). Ecco perché è importante avere il coraggio di fare luce, fino in fondo, su quali siano stati i meccanismi utilizzati. Capire quali persone abbiano realmente partecipato e quali, invece, abbiano semplicemente obbedito a degli ordini, non potendo fare diversamente. Creare quindi una gerarchia di responsabilità perché altrimenti nell’opinione pubblica si veicola il messaggio che lo Stato è colluso con la mafia e ciò non deve avvenire.

Ringraziamo la giornalista Simona Dalla Chiesa per essersi resa disponibile a dialogare con noi!

 

Domenico Leonello

di Domenico Leonello

Prima a scrivere canzoni e poi a recensirle, mi sono ritrovato ora ad essere Segretario Generale di UniVersoMe. Attraverso giornalmente lo stretto dividendomi tra università (lettere moderne) e conservatorio (chitarra classica). Quando non sono in viaggio, da bravo caposervizio della rubrica di recensioni, leggo poesie, ascolto vinili e guardo vecchi film (possibilmente sorseggiando un buon negroni).

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