Scrittori dello Stretto
cavalieri templari. Fonte: blogspot.com

Scrittori dello Stretto: Vincenzo Laurendi e la templare reggina

Il nostro fantastico territorio da sempre vanta un inestimabile patrimonio culturale che ci fa invidiare dal resto del mondo.

Si prenda ad esempio il Mar Mediterraneo, simbolo di una bellezza paesaggistica senza precedenti.  O si possono citare gli innumerevoli artisti che dal Sud sono passati (D’annunzio fra i vari) e che nel Sud sono nati (Alvaro).

Oggi però di una cosa non ci si può lamentare, cioè che il nostro territorio, sia la Sicilia che la Calabria, pullula ancora di artisti in grado di portare avanti la tradizione culturale.

Questa volta ho avuto l’occasione di intervistare Vincenzo Laurendi, scrittore calabrese, che con il suo ultimo libro La templare reggina ci porta dalla Calabria alla Siria, andata e ritorno.

La passione per la lettura e la scrittura l’hai sempre avuta o l’hai scoperta ad un certo punto della tua vita?

Questa passione nasce da lontano. Quando avevo 5 anni, dato che non avevo tanti amici, mi affidavo ai libri. Uno dei primi che ho letto è stato “Patologia medica” di mio padre, che era medico (ora in pensione). Poi ho cominciato a leggere di tutto; giornali, tanti fumetti, i romanzi. Quando mi sono trasferito in Toscana, in un paesino di 1500 anime, con una scuola dove c’erano quattro classi, che però aveva una biblioteca stupenda, che io ho “divorato”. Inoltre, all’epoca non amavo particolarmente l’inglese, materia che oggi insegno. Durante le ore di inglese, dalle quali venivo esentato, andavo in biblioteca e leggevo. La trilogia del Signore degli anelli l’ho letta in quel periodo, così come i libri di Jules Verne, che è stato un’ispirazione per tanti miei libri. Poi ho letto George Orwell la fattoria degli animali e 1984. Ho letto tanti altri libri che non ricordo. Verso gli undici anni c’era una ragazzina che piaceva a mio fratello, e quindi gli ho scritto qualche rima insulsa. Questa è stata la mia prima esperienza, anche se quella vera e propria è stata nel Maggio del 1999, venticinque anni fa. Era un racconto sarcastico sulla scuola, intitolato “Aids: Avventura italiana duemila scuole”. Ho addirittura messo dei personaggi famosi come miei compagni di scuola: Fantozzi era “Lo sfigato”, c’era Schumacher, Lucrezia Borgia “L’avvelenatrice” che uccideva le professoresse di matematica perché odiava quella materia. Si è trattato di uno sfogo in cui ho riversato la mia creatività.

C’è una tematica comune che ricorre nei tuoi scritti?

No, questa è forse la cosa bella dei miei libri. Su sedici libri, ci sono quasi sempre tematiche diverse. Sono passato dai romance ai racconti, al distopico, al fantasy. Due anni fa, in occasione del centotrentesimo anniversario dalla nascita di Tolkien, ho pubblicato una trilogia fantasy tutta al femminile, in cui si parlava anche di violenza sulle donne. Forse una delle tematiche ricorrenti nei miei scritti è quella del viaggio; io ho visto solo tre capitali europee e le porto nel cuore. Sono queste che uso come ambientazione.

L’ultimo libro, “La templare reggina”, sembra una storia più matura delle precedenti. A cosa ti sei ispirato per scriverlo?

Innanzitutto ad un fumetto, “Dago“, ambientato nel ‘500. Alcuni personaggi del libro traggono ispirazione dal fumetto. Carlo V d’Asburgo sarebbe Barbarossa. Riguardo le fonti, ho usato quattro libri; Reggio e dintorni; La Reggio di Anassilla; Regina; Tra Scilla e Cariddi. Tutte e quattro le opere sono state scritte dal professor Natale Zappalà, che è anche un amico conosciuto al liceo. In genere tra di noi l’argomento più discusso è sempre la storia, a discapito di tante persone che parlano di calcio o Grande Fratello. Lui è un esperto e io lo ascolto. Ho anche la passione per la Storia, seguo Superquark, Alberto Angela e i suoi libri.

I tuoi libri sono tutti autopubblicati. Come mai non ti sei rivolto a una casa editrice?

Per i primi due libri mi sono rivolto a due case editrici calabresi, ma l’esperienza non mi ha entusiasmato, perché ho fatto tutto io. Quando poi ho imparato a usare Photoshop ho anche realizzato le copertine da solo. Ho un template già pronto, devo solo modificare le misure e inserire le immagini. Secondo me, oggi come oggi, il self-publishing è un po’ il futuro. Quando una casa editrice ti chiede 2000 euro per poi dirti il libro vendilo porta a porta e alla fine ti lasciano solo il 2%. Chi ha già un nome viene inserito nei circuiti, ma noi spesso subiamo l’ostracismo.

La protagonista della storia deve proteggere la città di Reggio Calabria. Quanto è verosimile?

Come al solito c’è il 10% di verità e il 90% di testa mia, altrimenti non sarebbe un romanzo ma un saggio, cosa che non fa per me. L’esperienza di cercare le fonti non è stata tanto difficile, ma nemmeno tanto rilassante. Se si valuta la storia nel complesso, potrebbe essere verosimile. Io spero che il libro piaccia ai ragazzi.

Oltre a essere scrittore, sei anche giornalista, lavori in radio, insegni pure. Come ti trovi con questo dinamismo?

Io mi trovo davvero bene. Ancora oggi mi chiedo come mai io abbia frequentato lo scientifico, quando per me sarebbe stato più adatto un classico o un linguistico. Avevo la fissazione del medico, poi mi sono reso conto che la mia sensibilità mi avrebbe penalizzato enormemente, non sarei riuscito a dormire la notte dopo certi eventi. Fare il dottore non è facile, bisogna saper andare oltre, e io non sono proprio bravo in questa cosa.

Concludendo, Corrado Alvaro diceva “Il calabrese vuole essere parlato”. Oggi tutti scappano dalla nostra terra, ma una parte rimane e affronta tutto. Cosa serve per difendere la nostra identità, umile e non tristemente noto?

Innanzitutto serve lavoro. Non è necessario uccidere qualcuno, basta togliergli il lavoro. Per quel che riguarda l’identità, serve studiare la propria storia, senza andare dietro ai politici, che sono il vero problema. Ancora, per restare al Sud, ci vuole una grande dose di onestà. Ti ri-cito Corrado Alvaro, che diceva anche:  “La più grande tragedia che si possa impossessare di una società è la convinzione che vivere onestamente sia inutile”. Io vedo gente che per miracolo parla italiano e insegna inglese, gente che non sa la grammatica italiana vive in posti immeritati, prendendo tanti soldi. Io invece faccio milioni di concorsi assurdi, per fare da babysitter a dei ragazzini che non hanno manco voglia di studiare. Questo è il mondo.

 

Roberto Fortugno

 

 

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