San Giovanni di Malta e le sue mille storie dimenticate

IMG_3323Quando, salendo dal lungomare, in zona Boccetta, costeggiando villa Mazzini alla propria sinistra e la mole novecentesca del palazzo della Prefettura a destra, si raggiunge l’angolo con via Placida, ci si imbatte in un colpo d’occhio impressionante. In un attimo, ci si trova sovrastati da quella che era la monumentale facciata posteriore, la cosiddetta Tribuna, di una delle più grandi e antiche chiese di Messina. Una chiesa che, se potesse parlare, ci racconterebbe una infinità di storie, alcune delle quali veramente insolite: basta saper ascoltare.


Cominciamo dal nome: san Giovanni di Malta. Un nome che ci rivela che questa chiesa, fin dal Medio Evo, era annessa alla sede del Gran Priorato di un grande Ordine monastico-cavalleresco nato durante le Crociate e tutt’ora attivo: l’Ordine di San Giovanni Gerosolimitano, o degli Ospitalieri, che poi, finite le Crociate, nel 1309 si trasferì a Rodi e nel 1530, dopo altre peregrinazioni, divenne l‘Ordine di Malta, costantemente in prima linea nell’ardua e secolare lotta per garantire alle navi cristiane dei grandi regni europei il controllo del Mediterraneo, contro lo strapotere turco. Possiamo ben immaginare quanto importante fosse il porto fortificato di Messina in questa lotta senza quartiere, che nel mare aveva il suo campo di battaglia; basti pensare che quando fu Malta stessa, nel 1565, a dover resistere al massiccio assedio ottomano, proprio da qui, da Messina, partirono le navi dei rinforzi: il Gran Soccorso.

Proprio qualche anno dopo, al culto di san Giovanni si sovrappose quello di un altro santo, san Placido, abate benedettino inviato a Messina da san Benedetto nel VI sec.d.C. Della sua storia non si sa molto e il poco che si sa proviene principalmente da tre agiografie, redatte da uno scrittore benedettino, Pietro il Diacono, secondo cui il santo sarebbe morto martire a Messina coi fratelli Eutichio, Vittorino e Flavia e diversi monaci del suo monastero, per mano di pirati guidati dal feroce Mamuca. Questa versione dei fatti è oggi al centro di diverse controversie storiche, ma in passato si diffuse così tanto che quando, nel 1588, furono condotti gli scavi per gli ampliamenti della chiesa di san Giovanni e furono ritrovate sul luogo delle ossa, i pii messinesi non tardarono ad identificare in esse i corpi di san Placido e dei fratelli, e, nello stesso anno, papa Sisto V autorizzò il culto con una bolla papale.

Fu proprio questo culto a dare l’impulso alla crescita in grandezza e in bellezza di questa chiesa, ed è proprio in questo periodo che viene fatta costruire la grandiosa facciata della Tribuna, l’unica struttura esterna sopravvissuta, progettata da Jacopo del Duca in stile manieristico. La chiesa ed il Gran Priorato, che dopo la cacciata dell’Ordine da Malta ad opera di Napoleone ospiterà anche per qualche tempo il Gran Maestro, resistettero a calamità e terremoti: a distruggerli fu la dinamite, voluta dal piano regolatore del 1911, e solo la parte dell’abside della chiesa fu salvata per interessamento dell’arcivescovo Pajno. Oggi vi si accede da un piccolo cortiletto recintato, retrostante alla Prefettura, che ospita, fra le altre cose, il pregevole monumento funebre del cavaliere Andrea di Giovanni, del 1716, opera di Amato e Buceti, una volta sito all’interno della chiesa. All’interno del tempio si trova ancora un altro importante monumento funebre, quello di Francesco Maurolico, il visionario genio rinascimentale che tanto lasciò a Messina: il bel busto, da poco ricollocato, è opera dello scultore Rinaldo Bonanno.

Entrati in chiesa, diverse sono le tracce della grandezza perduta. L’altare maggiore, che oggi ospita l’urna reliquiaria d’argento con la statua in cera di san Placido giacente, ha alle spalle un dipinto di anonimo settecentesco, raffigurante la Madonna con san Placido e san Rocco, ed è sovrastato da una cupoletta affrescata, dei primi del 600; l’altare del Sacramento ha ancora le tarsie marmoree settecentesche, con lo stemma del Gran Priore. Senza dubbio, la parte più suggestiva e meglio conservata è il Sacello, che si trova sopra l’altare maggiore, e a cui si accede da uno scalone d’onore: voluto dal Senato messinese per ospitare le reliquie dei santi martiri, conservate in grandi arche di legno decorato, é ancora intatto e risale ai primi decenni del 1600, dal 1616 al 1624. Il pavimento marmoreo riporta incisi i nomi dei senatori dell’epoca, mentre sul soffitto quattro tondi, raffiguranti i quattro santi martiri, fanno da contorno allo stemma della Città di Messina. Degno di una visita appropriata è infine il ricco museo del Tesoro, che conserva molti pregevoli argenti di orefici settecenteschi.

Cavalieri crociati, santi, monaci benedettini, senatori messinesi, intellettuali: sono migliaia le storie che questo posto unico è ancora in grado di raccontarci. Noi abbiamo provato a spiegarvene qualcuna: ma ce ne sono tante altre che aspettano solo di essere scoperte…

Gianpaolo Basile

Ph.: Giulia Greco

 

di Redazione UniVersoMe

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