Quel tiranno chiamato tempo

Passavo la mia vita sentendomi perennemente in ritardo. 

Sentivo le lancette del tempo muoversi addosso, sulla pelle, come aghi pronti a far sentire tutta la loro pesantezza, la loro presenza.
Mi trovavo intrappolato in una realtà altra, fatta di un tempo altro, un tempo che sapeva, a volte scorrere troppo velocemente, altre troppo lento.
Un tempo che sembrava beffarsi del mio continuo correre, come a dire “contro di me non potrai vincere”.
Io e il tempo, una maratona infinita che sembrava persa in partenza.
Chiusa nei miei rigidi programmi, schemi mentali, mi soffocavano come quel tempo tiranno che era sempre li pronto a ridere di me.
Troppo presto per arrendermi, troppo tardi per cambiare strada. 
TIC TAC.
Continuavo, schiavo, ad andare avanti, quasi per inerzia, arrancando in quel cammino da cui non riuscivo a intravedere un punto d’arrivo, con un masso attaccato alle gambe pronto a rallentarmi.
TIC TAC.
Le lancette scorrevano inesorabilmente, come un fiume in piena ed io non riuscivo a nuotarci, mi trovavo travolta.
TIC TAC.
Secondi, minuti, ore che sembravano anni e che segnavano il mio viso, la mia anima come se un giorno valesse un secolo.
TIC TAC.
Alla cieca, andavo avanti cercando di programmare minuziosamente ogni attimo per non farmi più trovare impreparato, per non dover incassare un altro colpo dal mio nemico, il tempo.
Agile, lui, sembrava conoscere ogni mia mossa, pronto, spedito, al contraccolpo, con il suo ghigno peggiore, indifferente alle mie suppliche, ai miei lividi, ai miei tentativi di rivalsa.
TIC TAC.
Un’altra giornata stava finendo, anche oggi lui aveva vinto, vani erano stati i miei tentativi di padroneggiare quelle lancette.
Il sole stava calando, un caldo e timidi tramonto colorava il cielo davanti a me.
Colori cosi vivi che presero spazio tra i miei pensieri, tra le mie lotte perse.
Colori che si contrapponevano a quel grigio che ero io, un grigio che a loro confronto era imbarazzante.
Non so cosa cambiò da quella vista, ma lì, davanti a quel cielo presi coscienza che io ero lì, io senza il tempo, senza le lancette, senza il fardello del passato, senza le ansie del futuro…io e il cielo.
Io e il silenzio.
Nessuna voce pronta a rimproverare i miei ritardi, il mancato “fatto” sull’agenda.
In quel momento capì che stavo perdendo qualcosa che non avevo scritto tra le mille cose da fare, qualcosa che non avevo annotato sui mille post-it attaccati ovunque, qualcosa che, in quel momento, prepotentemente dimenava per farsi vedere, sentire: LA VITA.
Scalciava lì, come un bambino in cerca di attenzioni, per troppo tempo l’avevo trascurata, eppure era rimasta sempre lì, cosi colorata, così energica, così calda.
Occupata nella mia eterna lotta contro il tempo, l’avevo lasciata lì sul ciglio di quella strada che, affannosamente, cercavo di percorrere e adesso rivendicava la sua presenza.
Quel giorno capì che lei, la Vita, non mi avrebbe più aspettata. 

 Marika Spanò 

di Redazione UniVersoMe

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