Il mito sepolto dei laghi di Ganzirri. Il tempio, la mitilicoltura e la flora selvatica

In questa nuova tappa di Messina da scoprire vogliamo raccontarvi di come i fili che tessono le trame di leggende remote si intreccino alle vicende storiche di pescatori, regnanti Borboni e altri uomini di mare, in un paesaggio unico che si staglia tra le acque dei laghi di Capo Peloro e il litorale di Torre Faro.

Una palude. L’etimologia più accreditata fa risalire il nome dell’area alla parola ghadir, cioè stagno, zona acquitrinosa. I laghi che scorgiamo una volta attraversata tutta la costa del litorale settentrionale della città sono oggi il Pantano Grande (o Lago di Ganzirri) e il Pantano Piccolo (o Lago di Faro). Questo complesso lagunare venne unito attraverso il canale di Margi fatto costruire nella prima metà del 1800 dagli inglesi. Nello stesso periodo furono anche realizzati altri condotti per mettere in comunicazione i due laghi con i mari Tirreno e Ionio, che ancora vengono occasionalmente aperti, soprattutto in estate, per rifornire di ossigeno le acque salmastre. Ma in origine, e fino a poco più di un secolo fa, i laghi erano quattro: esistevano, come fonti storiografiche, a partire da Diodoro Siculo, riportano, anche il Lago di Margi e il Lago Madonna di Trapani, poi affluito nel Pantano Grande. Originati da progressivi insabbiamenti di un’area delimitata da cordoni litorali e plasmata dal moto ondoso marino e dai venti dello stretto, i bacini d’acqua presentano differenti caratteristiche fisico-chimiche. A detenere il primato di salinità e di varietà di specie è il lago di Faro dove vivono orate e anguille e un tempo oltre alle cozze, erano allevate anche ostriche.

La lingua di sabbia. Capo Peloro, punta nord orientale estrema della Sicilia. Da millenni culla delle divinità della mitologia pagana, antica custode di templi, circondata e protetta dai mostri implacabili di Scilla e Cariddi. Ulisse nel XII canto dell’Odissea per sfuggire a Cariddi (colei che “gloriosamente l’acqua livida assorbe”) e al vortice terribile che imperversava nel punto instabile di congiunzione tra i due mari dello stretto, preferì far naufragare la sua imbarcazione sul versante calabro e finire imprigionato nel giogo di Scilla, tra le cui fauci tuttavia alcuni suoi compagni persero la vita. Altre leggende che circondano questo lembo di terra parlano di Pelorias, una sorta di dea madre che risiedeva nel pantano e che personificava lo spirito della natura. La ninfa compare su monete coniate nell’antica città di Messana almeno dalla fine del V sec. a.C. A Pelorias erano associate nella simbologia mitili e conchiglie come la pinna nobilis, ritenuta preziosa e che venne importata dai fenici. E’ l’origine stessa della parola Peloro che in greco (pèloron) significa infatti mostruoso, fuori dal comune a rievocare la stratificazione di leggende che fin dall’antichità hanno influenzato i naviganti di quelle feroci e prodigiose acque. Più in prossimità di Capo Peloro sorge il lago di Faro che, in base a testimonianze, deve il suo nome alle fortificazioni fatte costruire dagli antichi abitanti di Zancle che lo dotarono di un faro a fiaccole per l’orientamento notturno delle navi.

 

Il tempio di Nettuno. Tra Il Pantano Grande e il Pantano Piccolo esisteva, come abbiamo detto all’inizio, il lago Margi o “Maggi”. Le sue esalazioni pestifere non permettevano di raggiungere l’area paludosa che venne bonificata dai Borboni nell’800. Scavi condotti in seguito portarono alla luce una serie di importanti reperti archeologici: vasi, suppellettili e altri antichi resti che rivelarono i gloriosi fasti sepolti di un misterioso tempio pagano. Oltre a Esiodo, lo scrittore romano Gaio Giulio Solino, vissuto nel III sec. d.C nella sua Raccolta di cose memorabili raccontava che su quello stagno melmoso era sorto un imponente tempio dedicato a Poseidone o Nettuno, il dio del mare, protettore ante litteram di Messina, che, stando al mito, separò la Sicilia dal continente con un colpo di tridente. A farlo erigere sarebbe stato niente meno che Orione, suo figlio, che la tradizione volle essere stato il fondatore della città, in onore del quale Angelo Montorsoli nel 1553 costruì la fontana collocata in piazza Duomo. Le colonne dell’antico tempio vennero quindi trasferite in epoca bizantina per permettere la costruzione delle navate del tempio cristiano.
Visioni e città. Al di là del mito, nelle più aleatorie propaggini della fantasia, un’altra storia lega il lago di Faro al folclore locale. Alcuni giurano ancora di scorgere qualcosa in quel fondale. Abbagliati dall’aria immobile del lago c’è chi afferma di sentire qualche volta il suono delle campane e di vedere i muri di un’antica città sepolta dentro le sue acque; Risa, un fiorente centro preellenico che a causa di un cataclisma sprofondò improvvisamente e lasciò al suo posto un fossato dove l’azione protratta delle piogge diede origine al lago. Le immersioni, se non sono riuscite a trovare conferme a questa curiosa leggenda, hanno comunque permesso di recuperare anfore bizantine e i resti di un antica imbarcazione, arrivata forse dal mare dello stretto. Il mare di Messina del resto da secoli confonde, inebria i suoi viaggiatori, e in certe giornate si può incappare nel bizzarro fenomeno ottico della Fata Morgana, quando da Reggio le due coste, siciliana e calabrese, sembrano toccarsi per effetto del riflesso delle abitazioni sull’acqua.

La pesca. Storici ipotizzano che la zona di Ganzirri fosse abitata fin dai tempi del neolitico. Documenti più sicuri testimoniano la presenza di villaggi e insediamenti di pescatori attorno alla laguna almeno a partire dal XVI secolo. Senz’altro la bonifica promossa dai Borboni intensificò l’urbanizzazione, dovuta anche alla necessità di difendere le coste dalle incursioni piratesche, e lo sfruttamento delle risorse offerte dalla varietà di pesci e di molluschi, detti cocciole. L’attività produttiva legata alla mitilicoltura e tellinicoltura caratterizza indissolubilmente il legame dell’uomo con il territorio. La zona, promossa a riserva naturale dal 2001, riveste un notevole interesse sotto questo profilo, tanto da essere annoverata come bene etno-antropologico sottoposto a divieti e restrizioni. L’habitat naturale in ogni caso in seguito al proliferare urbano sempre più massiccio, risulta  oggi compromesso. Recentemente, dopo le proibizioni degli ultimi anni, è ripresa comunque, seppure in misura minore rispetto agli anni ’60-’70, l’attività di allevamento dei frutti di mare. Molti pescatori di Ganzirri inoltre praticano la pesca del pesce spada a bordo delle feluche.

Specie floreali insolite. Nonostante il litorale di Torre faro sia fortemente alterato a causa dell’azione antropica conserva ancora un valore floristico e vegetazionale rilevante, grazie alle numerose specie molto particolari che continuano ad abitarlo, pressoché assenti nel resto della Sicilia, ad esempio la Centaurea deusta subsp. divaricata che cresce solo in questa zona, Anthemis peregrina, e Hypecoum procumbens della quale rimangono pochi esemplari esclusivamente nell’area di Ganzirri. Il sito è attualmente piuttosto degradato per l’intensa urbanizzazione; il lago Grande di Ganzirri e il Pantano piccolo hanno perso gran parte della loro vegetazione naturale, ma si rinvengono ancora specie rare come Cynanchum acutum.

Eulalia Cambria

Ph: Salvatore Cambria

 

di Redazione UniVersoMe

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