Social networks e politica: il caso Facebook

“Più sono grossi, più fanno rumore quando cadono” diceva nel 1900 il pugile britannico Bob Fitzsimmons prima di salire sul ring per affrontare il suo prossimo match e credo non ci sia frase più azzeccata per sintetizzare l’enorme clamore provocato, negli ultimi giorni, dallo scandalo del social network americano Facebook.

Nel 2007, anno del lancio della piattaforma in Internet, il trentatreenne CEO del colosso di Menlo Park, Mark Zuckerberg, si era detto favorevole alla collaborazione con varie applicazioni che avrebbero reso maggiormente interattivo e dinamico il rapporto tra users – si vedano in merito: l’inserimento delle date dei compleanni degli amici sul calendario, la sincronizzazione tra rubrica telefonica e lista dei contatti, fino ad arrivare all’uso della geolocalizzazione per creare una mappa digitale delle abitazioni dei propri followers -. Tutto questo e molto altro venne introdotto dagli sviluppatori dando la possibilità ad ogni singolo utente di condividere con Facebook ed altre app abilitate nel farlo, alcuni dei propri dati personali e la propria lista amici, garantendo sempre il rispetto della privacy del sottoscrivente. Il sistema funziona, il “social in blu” guadagna sempre più in popolarità e ricchezza e gli iscritti si dicono contenti delle nuove migliorie.

Ma è nel 2013 che tutto cambia. Facebook è sulla cresta dell’onda, e alle applicazioni che vi collaborano è garantita una larga libertà per quel che concerne l’uso e l’archiviazione delle informazioni di utenti ed amici. È in questo panorama che nasce thisisyourdigitallife” app creata da Aleksandr Kogan, ricercatore russo-americano della prestigiosa Università di Cambridge, esperto di big-data e comunicazioni. Si trattava, sostanzialmente, di un semplice quiz di 61 domande destinato ad individuare a quale livello fossero diffusi i tratti della Triade oscura” (narcisismo, machiavellismo e psicopatia) sulla popolazione del web e quanto questi fossero importanti per comprendere i sempre più numerosi comportamenti violenti su Internet. A scaricarla furono circa 270mila persone che, involontariamente, hanno contribuito in maniera significativa ad influenzare i risultati di due eventi fondamentali per il panorama socio-politico mondiale: il referendum per la Brexit e le elezioni presidenziali americane del 2016. Secondo quanto rivelato da un’inchiesta del New York Times, questi utenti, scaricando il questionario online di Kogan, davano il loro consenso alla società produttrice dell’applicazione di entrare in possesso della loro lista contatti, un “patrimonio umano” di circa 51 milioni di profili che, se analizzati da professionisti del campo politico, potevano essere facilmente utilizzati per indirizzare gli elettori verso una scelta ben definita, mediante l’uso di messaggi mirati e banner pubblicitari costruiti ad hoc.

Mark Zuckerberg presso la sede di Facebook, in Menlo Park, California, il 27 settembre 2017.
foto: STEPHEN LAM/REUTERS

Solo un anno dopo, alla luce di una serie di attività sospette mosse da applicazioni abusive nei confronti del colosso social, Zuckerberg decise di rivoluzionare la propria piattaforma per garantire un maggiore controllo ed una più ampia sicurezza per i dati personali dei propri iscritti; ma è nel 2015 che, a detta dello stesso Zuckerberg, Facebook viene a conoscenza del fatto che Kogan avesse condiviso i dati ottenuti da “thisisyourdigitallife” con la società “Cambridge Analytica” specializzata nel supporto di grosse campagne elettorali mediante i social networks. 

Ciò che risulta essere veramente interessante in tutta questa vicenda lo si apprende, però, leggendo due dei nomi a capo di “Cambridge Analytica”: Steve Bannon, ex capo stratega del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, vice presidente della società in questione e grande amico di Nigel Farage, leader del partito Ukip che ha guidato il movimento per la Brexit; e Bob Mercer, miliardario, esperto di informatica, padre di Rebekah Mercer che è alla testa del più importante comitato elettorale dei repubblicani, nonché head funder di “CA”.

Dallo scoppio dello scandalo, Facebook ha già perso 7 punti percentuali in borsa, circa 40 miliardi di dollari in pochi giorni ed il fenomeno non sembra essere in calo. Zuckerberg si è prontamente scusato con un lungo e dettagliato post sul proprio profilo personale, cercando di spiegare meglio la situazione e di limitare, almeno in parte, le forti critiche che migliaia di utenti gli stanno quotidianamente recapitando; contemporaneamente in molti si sono mobilitati a favore della campagna #DeleteFacebook, nata su Twitter con il solo scopo di boicottare il gigante social colpevole di aver violato la fiducia di milioni di utenti.

Sembra essere un duro colpo quello che ha incassato il più importante social network del mondo, ma difficilmente sarà quello del K.O.

 

 

Giorgio Muzzupappa

 

di Redazione UniVersoMe

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