Sputnik: Luca Carboni incontra la generazione itpop

Il mondo aspetta una grande festa/ una bomba nucleare./ E noi che ce ne andiamo al mare/ ce ne andiamo al mare

Una navicella spaziale orbita su un pianeta terra occupato da icone pop e dinosauri. L’estate della riviera romagnola si trasferisce in un villaggio vacanze lunare tra ombrelloni, sedie a sdraio, tintarelle ai raggi x e alienazione. La copertina dell’ultima uscita discografica di Luca Carboni (che lui stesso ha disegnato), Sputnik, riproduce le dissonanze contenute nelle nove tracce dell’album. L’immagine rimanda a quella di un LP dei Supertramp del 1975, Crisis? What Crisis?, in cui un ombrellone piantato sul terreno di un paesaggio industriale, nei fumi delle fabbriche, stacca con ironia il piano da una prospettiva edonistica di “grande festa”. Allo stesso modo, in uno spazio di bombe-pop e ristagnanti umori post apocalittici, si apre il disco del cantautore bolognese. Il tema di una giostra perenne e divertimento da cogliere a tutti i costi è cifra caratterizzante di quest’epoca lontana da porti sicuri e incerta sul presente. L’incontro tra il nuovo cantautorato “indie” e il cantore di malinconie anni ’80-‘90 fa di Sputnik un disco che ha l’occhio rivolto all’oggi: la partenza, i figli, l’amore digitale. Ma c’è anche un legame stretto con quel linguaggio che ha attratto le nuove schiere di musicisti che hanno riconosciuto in Luca Carboni l’artista a cui più di tutti gli altri accostarsi.

L’album si presenta quindi come un esperimento collettivo, risultato dalla confluenza di voci diverse del panorama itpop.  Uscito a distanza di tre anni dal precedente Pop Up (2015) e prodotto da Michele Canova Iorfida (che ha collaborato all’intera discografia di Tiziano Ferro, circostanza che emerge qua e là in diversi momenti). Alla stesura dei brani, insieme a Carboni, hanno preso parte Calcutta (Io non voglio), Flavio Pardini, in arte Gazzelle (L’alba), Giorgio Poi (Prima di partire). Ancora più del predecessore, Sputnik va in direzione di un’elettronica trascinante e ballabile che utilizza synth e tastiere. Il titolo è tratto dal nome del satellite russo a forma di CD Sputnik 1 lanciato nel 1957: “sono cresciuto durante la guerra fredda”, ha dichiarato il cantautore, “lo sputnik aveva una forma affascinate. E Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, diceva che la terra vista da lassù era bellissima. Questo disco è la mia vista dall’alto”.  La freschezza della trama sonora è però toccata nei testi da un senso di decisa difficoltà esistenziale.

Lo sguardo è rivolto alla new wave anni ’80 in un’operazione che strizza l’occhio al tormentone estivo con atteggiamento canzonatorio e aperto insieme al nuovo. Luca Carboni, nel suo tredicesimo album in studio, fa a meno degli strumenti privilegiando suoni campionati. La vivace atmosfera di festa godereccia, come risulta dal singolo pubblicato in anteprima, Una grande festa, attraversa punte di malinconia, “parlare della sfiga proprio non si può/ il dolore e l’ingiustizia non brillano neanche un po’”. Alla esplosiva traccia di apertura segue, 2, inno della vita di coppia, con le sue gioie, ma anche coi suoi momenti di dolore “mi dai capricci e miracoli/ mi dai l’amore a modo tuo”. In amore digitale, scritta insieme ad Alessandro Raina, è l’antenna del wi-fi a stemperare la solitudine, “l’amore c’è ma non si vede/ è più veloce”. Tra i pezzi più riusciti del disco Ogni cosa che tu guardi ha una linea melodica pop che si riveste di un refrain corale. I ricordi del muro e di Alexanderplatz (celebri quelli cantati dall’amico Franco Battiato, con cui Carboni ha inciso qualche anno fa una cover di Silvia lo sai) affiorano ne I film d’amore. Di impatto electro L’alba affronta il tema dei figli che viaggiano per cercare un futuro migliore: “ e vanno giù e tornano giù tra le password e i segreti”. La title track posta alla fine del disco recupera pacatezza e tono confidenziale, prolungandosi per 4 minuti di soffusa e intima confessione. Sputnik si muove così a metà strada tra la piena maturazione autoriale e l’avvicinamento a un universo composto di nuovi elementi: l’astronave che sorvola uno spazio pieno di contraddizioni porta a bordo chi negli anni ’80 era appena nato o doveva ancora nascere. E Carboni ancora ci ricorda, con un lavoro che convince, lieve ma riflessivo al contempo, che “gli esseri umani sono tristi per natura, ma il pop è qui per dimostrarci che non è poi così dura” (Una grande festa).

Eulalia Cambria

di Eulalia Cambria

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