Alla ricerca del tempo perduto

Era il giugno scorso quando il signor Tim Cook ci ha sbattuto in faccia una realtà: <<Le persone stanno troppo tempo davanti allo smartphone>>.

E così meno di tre mesi fa è arrivata sui telefonini di casa Apple la funzione Tempo di utilizzo che informa gli utenti su quanto effettivamente stanno davanti allo schermo di un telefono. Anche la fazione Android si sta, ovviamente, mettendo al passo con la causa sociale avviata da Cupertino e le stesse App figlie di Mark Zuckerberg oggi danno la possibilità di vedere quante ore – perché di ore si parla- si sta attivamente al centro delle piazze virtuali con l’accessoria opportunità di impostare un timer giornaliero che avvisi il social addicted quando sta sforando il tempo da lui stesso prestabilito.

Insomma, se volessimo fare un parallelismo con il mondo alimentare, i signori del web sono passati da essere distributori di junk food a nutrizionisti. Ed ora ci propongono di metterci a dieta.

Una dieta da connessione.
Ma è veramente possibile? Quanto può essere possibile scollegarsi?
Privarsi di una connessione, di essere in rete. Quella stessa rete che, appunto, ci fa sentire parte di qualcosa. E quando ti disconnetti, se è davvero possibile farlo, come fai a non pagare le conseguenze di non essere parte di quel qualcosa?

Però, intanto, un giorno tutti siamo stati messi davanti a quei dati.
3,5 h su Instagram, 2h su Whatsapp, 1h su Facebook, 30 min su YouTube per un totale di… 10/12h di utilizzo di un solo dispositivo, ovvero quasi la totalità delle ore di cui disponiamo in una giornata.

E quindi c’è da chiedersi: quel qualcosa, quella rete, è davvero esterno a noi o ormai è diventato un’estensione di noi stessi?
Ogni momento, ogni singolo momento vuoto lo riempiamo con quel piccolo dispenser formato 5-6 pollici  di autostima, compagnia, felicità, conoscenza.

E quindi la domanda, che almeno a noi, è venuta spontanea è stata

Come riempivamo prima quei momenti
Dove è andato a finire quel tempo? È forse perso?

Cosa facevamo la mattina, appena svegli, senza connetterci con il mondo.

Una connessione con il mondo non fatta semplicemente di notizie, ma di aggiornamenti provenienti dalla nostra sfera di amici, follower, conoscenti, sconosciuti. Insomma, più che notizie, futilità. Futilità buone, d’altronde non di solo pane vive e ha vissuto l’uomo, ma anche di momenti di pura inutilità.

Post, foto, video, contenuti altrui che spesso ci strappano gocce di reazioni, emozioni e comportamenti contrastanti: un sorriso, felicità, commozione, invidia, gelosia… STALKING (quello buono, più o meno, che tutti facciamo), verso chi già conosciamo e verso chi vorremmo conoscere.
Ebbene, soffermiamoci su questo punto che, tra l’altro, ci sembra un po’ riassumere l’amore ai tempi del web 2.0.
Quante volte ci capita di arrivare ad un appuntamento e avere l’impressione di sapere già tutto di quella persona. Sentire di aver perso la cognizione del primo incontro, il vedo non vedo dell’amore.
Vedere quel volto che da foto diventa persona, e non più viceversa, ci ha forse fatto un po’ perdere lo stupore per lasciare spazio alla sicurezza.
Le piattaforme social, così come il web in generale, colmano le nostre conoscenze e le nostre mancanze. Abbiamo bisogno di fare lo screening totale della persona che ci troveremo davanti per non arrivare impreparati al mondo reale.
Il nostro smartphone è una piccola medicina che prendiamo ogni momento.
Più che medicina, placebo. Ci illudiamo che il mondo ideale possa essere più accogliente, perfetto, una coccola gratuita per ogni nostro calo di autostima e soddisfazione. Plasmiamo un mondo ideale che rendiamo reale virtualmente, lo viviamo, lo condividiamo, lo accresciamo – anche a pagamento – per avere approvazione e poi ci troviamo insoddisfatti, soli, delusi quando scopriamo che quel mondo, forse, non è poi così reale.
E allora quelle ore, il nostro tempo di utilizzo, perché non impiegarlo in un tempo nuovo – di nuovo – da utilizzare per riscoprire il reale e, senza cadere in inutili banalismi, renderci migliori concretamente, senza filtri. Per ricevere approvazione reale, e non attraverso facili e veloci likes.
Forse dovremmo reimparare a vivere – senza disconnetterci , per carità – ma ricollengandoci con noi stessi, i veri noi, e riprenderci un po’ di tempo perduto alla volta.

Mattia Castano, Martina Galletta

di Mattia Castano

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