Se questo è un medico

Sono le ore 10:32. Suono. Entro. Chiedo gentilmente: “Buongiorno, sono passata ieri per farmi scrivere le analisi da fare, l’infermiera mi ha detto che sarebbero state pronte oggi…” Con un urlo scimmiesco mi viene risposto da un’ala remota dello studio medico “Sssssiiiiiii gioiaaaaa spetta”.

Arriva la donna di mezz’età che, mentre zoppica verso di me, urla (viva la privacy) “aaaah no gioiaaaa devi passare domani picchi u medico avi a visitare tutti questi quindi non cià fa”. Nel frattempo suona 350 volte il citofono e, con la sua calma, la signora risponde pazientemente ad ogni suonata.

Poiché la prescrizione mi è urgente visto che devo fare le analisi domani, comunico che aspetterò la fine delle visite, per avere queste benedette ricette.
L’infermiera mi illude, viene con delle ricette in mano, almeno 15 volte, ma non sono mai le mie. Penso che me lo faccia apposta. Nel frattempo continua a suonare il citofono.
Chi mi conosce sa che io sono un po’ ipocondriaca, diciamo che mi disturbano le malattie altrui, quindi mi sono seduta in un angolo remoto della minuscola stanzetta. Ho le braccia scoperte, sulle quali si notano i miei tatuaggi, che divengono magicamente l’argomento di discussione di tutti i pazienti nella saletta, con relativi insulti “ah, ma c’è schifo” “ah, pari nira”(?) boh.

Tutti prendono parte alla discussione, tranne una vecchia, brutta e maligna, con gli occhiali da sole al chiuso, che mi fissa, senza mollarmi un attimo. Ottimo. Arriva Michele, visibilmente affetto da un qualche ritardo, poveretto, che mi fa una corte sfrenata, che ho molto apprezzato devo dire. La vecchia continua a guardarmi e accenna un sorrisetto malefico. Suona il citofono, arriva l’infermiera con le ricette, non mie, ovviamente.

Sono le 11:53. Sento un urlo: è la signora cieca col pastore tedesco. Si siede, insulta il cane (non so perché), chiede delle ricette per le analisi, gliele fanno in un nano secondo, se ne va (sempre urlando contro il povero animale).

Essendo rimasta l’ultima ed essendo molto arrabbiata, chiedo abbastanza veementemente a che punto siamo con queste prescrizioni. Mi viene risposto che non sono la figlia della gallina (?) e devo aspettare il mio turno.

Chiedo di poter parlare col medico, questa figura mitologica che urla, dopo un decennio “DIGLI A QUELLO DI ENTRARE”
Passa un sacco dalla chiamata all’ingresso, perché il medico si deve fumare il sigaro (che lascia semi acceso nel posacenere), nel frattempo arriva una tizia che manco è entrata e inizia a sbraitare che lei viene una volta l’anno, che deve parlare col medico e che deve entrare subito perché ha la macchina messa male. Fortunatamente l’infermiera le dice (urlando più di lei) che ci sono io prima. Sta stronza risponde “ma il ragazzo è giovane, può aspettare”. Non rispondo, la guardo malissimo. La povera signora aveva frainteso il silenzio, tanto che, quando si apre la porta del medico, che pare la porta del paradiso, si fionda a molla nel corridoio. Peccato che io sia più veloce di lei, e dunque riesca ad entrare prima, tra le sue malanove.

Mi siedo, aspetto un quarto d’ora che trovi il foglietto con i nomi delle analisi che avevo portato ieri. Il dottore scrive e scrive al computer. Dopo mezz’ora, che digita mi dice “eh mi dispiace ragazzo, ma finiu u ‘nchiostru, passa domani”.
Sembrerebbe lo studio medico di zu’ peppe. Ma siamo in pieno centro e sono le 13:15.

Paola Puleio

di Redazione UniVersoMe

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