L’insostenibile fragilità dell’essere

Se per alcuni #andràtuttobene, per altri è già andato tutto male. Il Sars-Cov-2 monopolizza l’attenzione di tutto il mondo, non si parla d’altro perché non si può parlare d’altro, non ci si riesce. E’ entrato nelle nostre vite partendo dall’essere un lontano focolaio in una città cinese all’essere il protagonista della pandemia del ventunesimo secolo. 

Giorgio De Chirico – Piazza d’Italia

Castelli di sabbia

Queste giornate di quarantena rivoluzionano i concetti di tempo, ora dilatato e fin troppo governabile, e di distanza, da un metro l’uno dall’altro al blocco aereo.

Un’evenienza simile non l’avevamo mai vissuta, e nemmeno i nostri genitori. L’esperienza più simile a questa possiamo averla letta al più in qualche libro di fantascienza, vista in un film post-apocalittico, giocata in un videogame.

L’idea di quel mondo,  l’unico che abbiamo potuto vivere fino all’inizio della pandemia, si sgretola come un castello di sabbia sotto i colpi della realtà. Lo avevamo costruito immaginandolo sotto controllo: non potevamo immaginarlo diversamente. 

Lo abbiamo posto sul binario dritto e ad unica direzione del progresso, proiettato al futuro, pieno di cuscinetti che avrebbero attutito le cadute, impedito le situazioni più esasperate. Certo, sapevamo delle guerre ancora in corso, della crisi economica, del riscaldamento globale, delle previsioni negative per il futuro: eravamo più o meno coscienti di queste realtà, lontane, non tangibili, ripetute; erano lì ed in qualche modo avremmo risolto. Ancora niente aveva fatto crollare il nostro castello.

Giorgio De Chirico – Il trovatore

Mani, cuore, polmoni

E’ stata la cosa paradossalmente più naturale a farci scoprire qual è il vero comune denominatore dell’uomo e delle strutture sociali che ha creato: la fragilità.

Il virus ci ricorda che abbiamo un corpo e che dipendiamo da quello. Ce ne dimentichiamo continuamente finché non ci ammaliamo: siamo fatti di carne, di ossa, di liquidi. Per respirare abbiamo bisogno di polmoni, ma non quei polmoni che vediamo nelle immagini, bensì quelli che puoi toccare, che possono riempirsi di ossigeno o toglierci il respiro. Siamo fatti di mani che si toccano, di una bocca ed un naso che possono contagiare mortalmente con un bacio. In un mondo in cui il silenzio è una patologia, sommersi da notizie, drogati di stimoli, diamo per scontato di essere vivi perché c’è un cuore che batte ed un respiro più o meno costante.

Lo senti il movimento dell’aria che entra nel torace? Senti come si muove? Abbiamo bisogno di questo, niente di astratto. Eppure, anche se non ci pensiamo, abbiamo un timer di circa due minuti di vita rimanente, ogni volta che respiriamo si resetta.

Fare i conti con la fragilità dell’essere al mondo non è facile. In realtà non ne facciamo esperienza vera finché non siamo interessati in prima persona. Si tratta, in questo momento, solo di un rapporto molto più vicino, un rapporto obbligato che dobbiamo saper instaurare per rispettare restrizioni da quarantena e saper bilanciare per non impazzire. Un rapporto con l’essere che, parafrasando il titolo del noto romanzo di Milan Kundera, può risultare insostenibile.

Miti da sfatare

Oltre la fragilità individuale stiamo osservando la fragilità collettiva, di tutto quel mondo che credevamo indistruttibile, monolitico; quel mondo che sarebbe cambiato solo per non far cambiare nulla. Eppure le borse crollano, le aziende chiudono, si prevede un periodo di recessione economica globale. Nel frattempo i Governi si muovono scoordinati, impacciati, in maniera asincrona, i contagi aumentano, le vittime pure.

L’Unione Europea non ha saputo mostrarsi compatta contro la pandemia, lusso che non poteva concedersi vista la crisi d’identità che l’attanaglia ormai da qualche anno. Qualora non dovesse riuscire ad essere il cemento tra i vari Paesi, metterebbe a rischio la sua esistenza e la tenuta della democrazia nei singoli Stati. Per quanto possa sembrare al lettore un pensiero già sentito e risentito, ora bisogna coglierne il rischio concreto.

Il Sistema Sanitario Nazionale italiano è l’unico castello di sabbia ad aver dimostrato di poter reagire efficacemente, ma lotta oltre il proprio limite. Da tempo eravamo a conoscenza dell’inadeguatezza delle strutture, della carenza del personale, dei fondi insufficienti; oggi gran parte dei pazienti muoiono senza essere mai entrati in terapia intensiva per mancanza di posti.

Credevamo, forse, che per quanto fosse fragile, questo castello avrebbe continuato a reggere? O forse lo avremmo piacevolmente buttato giù noi in favore di una privatizzazione della sanità?

La fragilità con cui oggi facciamo i conti è quindi sia individuale sia collettiva.

Giorgio De Chirico – Ettore e Andromaca

Be fragile, be strong

Per quanto riguarda la prima fragilità, quella individuale, il periodo di isolamento può essere sfruttato in modo terapeutico. La noia è neurologicamente salutare. Finora abbiamo vissuto sovrastimolati da una moltitudine non fisiologica di input esterni che inducono in noi una condizione nota come hyperarousal (iperveglia). Una quantità di stimoli tale da poterli vivere solo in modo passivo, ai quali non seguono output di rielaborazione, di idee, di creatività. Sapersi fermare è utile a saper camminare, sia in senso letterale sia in senso figurato.

Imparare a stare con se stessi, a sopportare i propri pensieri, le proprie contraddizioni, a rivalutare le proprie scelte: è questo che la solitudine ci offre. Saper stare soli è prerogativa fondamentale del saper stare insieme. Mi rendo conto di quanto questo possa suonare moralistico, ma chi lo scrive lo fa per convincere se stesso ad iniziare a farlo.

La seconda fragilità, quella collettiva, sarà la risultante dei vari lavori interiori che i suoi componenti riusciranno a compiere. Quando il mondo vincerà la pandemia – perché sì, vinceremo – niente sarà più lo stesso. Si tratterà di un vero e proprio dopo guerra: lo scenario economico è catastrofico, quello umano imprevedibile. In base a quanto ed al modo in cui lo Stato e le Organizzazioni Internazionali riusciranno a far fronte a questa crisi post-critica potremo vedere minacciata la tenuta dei Governi.

Con uno sguardo più ottimistico, però, possiamo ipotizzare una straordinaria sincronizzazione emotiva di massa, medicina all’individualismo improduttivo dei tempi moderni.

Potremo riscoprire progetti e sogni comuni. Una sanità che sia pubblica ed efficiente, un’attenzione cruciale all’ambiente, un’economia al passo con il mondo, una politica dai toni adeguati e dai contenuti rilevanti. La nostra fragilità è la chiave di lettura del momento per il futuro. Accettiamola.

Antonio Nuccio

 

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