Su “Frontiers in Pediatrics” ricerca UNIME: i casi sommersi tra i bambini

Quando un fiume straripa si rende necessario progettare degli argini più alti per evitare succeda di nuovo. Oggi l’obiettivo è quello di arginare una nuova ondata di contagi da SARS-CoV-2 nel nostro Paese ed uno degli step più importanti è quello di localizzare gli asintomatici.

Asintomatico è quel soggetto che, pur non avendo i sintomi della malattia, ne è vettore di diffusione. Abbiamo abbondantemente letto di come la covid-19 abbia un’incidenza molto bassa in età pediatrica. La nostra attenzione si è quindi spostata da questa fascia di popolazione. Sorge però spontanea una domanda.

E se fossero proprio i bambini i principali portatori del virus?

A rispondere viene in soccorso una ricerca UNIME, redatta da alcuni socenti e studiosi di pediatria del Pipartimento di Patologia umana, Stefano Passanisi, Fortunato Lombardo, Giuseppina Salzano e Giovanni Battista Pajno, e pubblicata il 30 aprile sulla rivista “Frontiers in pediatricts”.


Come Freud fece con l’animo umano, l’Io, qui i soggetti portatori di SARS-CoV-2, sani e malati, vengono paragonati ad un iceberg la cui parte sommersa rappresenta gli asintomatici. All’epoca dello studio solo l’1,5% dei diagnosticati come SARS-CoV-2 aveva un’età compresa tra 0 e 18 e di questi in Italia ne era morto solo 1. Dati questi concordi con l’andamento della pandemia nel resto del mondo.

La covid-19 nei bambini

Clinicamente i bambini positivi al coronavirus presentano solitamente i seguenti sintomi: febbre, tosse secca, eritema faringeo e fatica. Nel mondo solo nel 5% dei casi si presentano dispnea o ipossemia nei soggetti pediatrici ed una percentuale ancora più bassa (0,6%) sviluppa una sindrome da distress respiratorio acuto o insufficienza multiorgano. In generale si riscontra un coinvolgimento maggiore delle alte vie aeree rispetto alle basse, diversamente dagli adulti.
Dal punto di vista laboratoristico negli adulti ritroviamo spesso diminuizione dei linfociti ed anemia, aumento dei marker epatici e degli indici aspecifici di infiammazione. Questi rilievi sono veramente rari nei bambini.

Come mai la covid-19 “pediatrica” decorre in maniera lieve il più delle volte?

Questo ancora non lo sappiamo, anche se ci sono due ipotesi. La prima è sostanzialmente immunologica: il sistema immunitario del bambino sarebbe rafforzato dalle diverse infezioni virali a cui va normalmente incontro nel primo anno di vita. In più, contrariamente agli adulti, verrebbe a mancare la tempesta citochine che rafforzano il processo infiammatorio, aumentando il potenziale danno dei tessuti sani. La seconda ipotesi si basa sull’espressione di ACE2, recettore che agisce da ligando per gli spikes dell’involucro virale, e che, sulla base esperimenti murini, sarebbe più espresso nei giovani rispetto agli anziani. Però a prescindere dal chiaro quadro epidemiologico non ci sono certezze a riguardo.

Tracciamento degli asintomatici: perché i bambini avrebbero un ruolo?

È utile fare una premessa: sebbene più di un milione di persone sono risultate positive al coronavirus in tutto il mondo, si stima che la prevalenza della malattia sia molto più elevata. I tamponi naso-faringei, che sono stati fino ad oggi il principale mezzo di indagine, sono stati indirizzati a chi presentava sintomi severi. Quindi rappresenterebbero solo la punta dell’iceberg.
La maggioranza dei bambini infetti, mostrando forme lievi o moderate, non fa il test per la covid-19, aumentando così i casi non diagnosticati.

Uno dei primi studi riguardo al rapporto tra l’età pediatrica ed il coronavirus è stato effettuato in Cina su 10 bambini. Tutti positivi e ricoverati, provenienti da aree attorno a Wuhan. Sebbene il campione sia limitato, così come l’attendibilità, i risultati sono davvero interessanti. Cinque di questi giovani pazienti sono risultati positivi alla ricerca dell’RNA di SARS-CoV-2 nelle feci. Hanno mantenuto questa positività per un periodo compreso tra 18 e 30 giorni dall’inizio della malattia. Mentre il “classico” tampone naso-faringeo perdurava positivo dai 6 ai 22 giorni. Inoltre 5  avevano una carica virale anche nelle urine per 2-3 giorni.
Possiamo dedurre che la persistenza del virus nelle secrezioni nasali e nelle feci abbia avuto delle implicazioni notevoli nella diffusione del contagio in asili e scuole, ma anche in ambito familiare. Basti pensare poi allo stretto rapporto che in Italia hanno nonni e nipoti.

Andamento dell’Rt in funzione del tempo e delle misure restrittive adottate in Italia

La scelta vincente della chiusura delle scuole

La prima misura restrittiva adottata da molti paesi è stata quella di chiudere scuole ed università. In accordo con i dati UNESCO ciò ha impattato sulla vita dell’87% degli studenti del mondo intero. Ma quali sono stati gli effetti benefici? Un report dell’imperial college di Londra ha analizzato i numeri del contagio in vari paesi europei, relazionandoli alle date di introduzione delle norme di contenimento. La variabile statistica da considerare è l’Rt, ovvero una media del numero di persone contagiate a partire da un soggetto positivo. Questa variabile reagisce positivamente a tutte le regole gradualmente introdotte, prima su tutte la chiusura delle scuole.

Dunque la popolazione pediatrica, quella che forse ha pagato di più gli effetti del lockdown dal punto di vista psico-sociale, è anche quella che probabilmente ci aiuterà a superare questa pandemia.

Antonio Mandolfo

 

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