fonte: huffingtonpost.com

“I can’t breathe”: l’ennesima puntata di una serie già vista

«Being Black in America should not be a death sentence»

È così che il sindaco di Minneapolis, Jacob Fray, esprime al mondo la sua rabbia per la morte di George Floyd.

«Studia il passato se vuoi prevedere il futuro» diceva Confucio, ma negli States non sembra possibile; si era già verificato un fatto simile, ad Eric Gardner nel 2014 e quel caso fece esplodere rivolte e polemiche ma, a quanto pare, è rimasto passato.

Fonte: perunaltracitta.org

Ma in un momento come questo, in cui non possiamo fare molto – e allo stesso tempo non possiamo neanche far finta di niente – capiamo quanto queste tragedie siano lontane, così tanto che sembra non ci appartengano!

Chissà se stavolta le serie tv possono farci “avvicinare” a quel mondo: in effetti potrebbero essere il ponte che ci serve.

Da sempre il piccolo schermo ha cercato di denunciare il razzismo e l’ha fatto in molti modi, nonostante abbia solo drammatizzato l’amara realtà, “rubando” le sceneggiature dalle pagine di cronaca.

Vogliamo ricordare e celebrare, a modo nostro, George e tutti gli altri che come lui, non riuscivano a respirare. 

Grey’s Anatomy

Il più celebre dei medical drama, trova il tempo per alcune – gravose – condizioni di attualità.

Nell’episodio Personal Jesus (14×10) al Grey Sloan Memorial Hospital arriva Eric (scelta del nome non casuale, pensiamo a Gardner) in emergenza.

Eric è un ragazzino di soli dodici anni, figlio di una famiglia benestante e che vive in un quartiere raffinato. Egli (come tanti ragazzi della sua età) è sbadato e perde le chiavi di casa, così cerca un metodo “alternativo” per entrare nell’abitazione.

Fonte: tvtime.com

Un ragazzino di colore che si aggira attorno ad una casa “elegante” non sembra andar giù alla Police locale, che gli spara a bruciapelo e senza un motivo valido.

Ad occuparsi di lui saranno tutti i medici, che per ippocratica memoria hanno il dovere di :  curare […] senza discriminazione alcuna. Tra questi il dottor Avery, l’affascinante chirurgo plastico afro-americano e la dottoressa Bailey (non riuscirei a descriverla in poche parole) anche lei di colore e mamma.

Fonte: tvtime

Mamma che, come tutte, ha bisogno di proteggere il figlio. La necessità di  parlargli e di educarlo per proteggerlo; ma non dall’essere nero, perché da quello non ci si può – e non ci si dovrebbe – proteggere, bensì dal non diventare «come i suoi amici bianchi», pregandolo di non essere arrogante.

Ed è così che si conclude la puntata.

La critica della società, drammatizzata in una puntata da brividi, cerca di condensare in Eric tutte le vittime del razzismo, che forse sarebbe meglio definire vittime del pregiudizio: pregiudizio che ha ucciso in questo caso e in molti altri. Inoltre, nelle reazioni degli altri personaggi (più o meno lodevoli) la serie ha riassunto le nostre o comunque quelle di coloro che sono spettatori di eventi del genere.

Orange Is the New Black

In Orange Is the New Black c’è l’eterno scontro tra forze dell’ordine e detenute; c’è la continua critica nei confronti del sistema di correzione e il penitenziario di Litchfield farà da sfondo a tutta la serie.

Nel contesto delle varie storie ce n’è una, quella di Poussey Washington, detenuta che sconta la sua pena per reati minori, lavorando in biblioteca e facendo… quello che tutte le detenute fanno.

Fonte: tvtime

Ha 23 anni ed è figlia di un generale militare, orfana di madre; è di colore e viene definita “una delle nere”, sia dalle compagne di detenzione che dalle guardie.

Nel contesto di una rivolta pacifica (almeno così era all’inizio) viene accidentalmente uccisa dall’agente Bayley: un uomo bianco, giovane, che non sa come comportarsi nei confronti del minimo accenno al caos.

Questo la getta a faccia in giù, la trattiene con un ginocchio sulla schiena e mettendole tutto il  peso addosso la soffoca: Poussey muore per asfissia da compressione.

Fonte: GQitalia.it

Il nome della puntata è “Animali in gabbia”, c’è qualcosa da aggiungere?

Poussey viene compianta e vendicata, ma comunque ogni tentativo sarà vano in partenza: perché ci sono cose contro le quali si può combattere, ma spesso – purtroppo -non si riesce a vincere.

Fonte:tvtime.com

La scena della sua morte è stata ispirata a casi come quello di Eric Gardner, e le scene della morte di George sembrano essersi “ispirate” a questa puntata. Un circolo vizioso, forse.

Ma siamo stanchi di vedere sempre la stessa storia. 

Essere di colore non vuol dire essere diverso. E quella del razzismo è solo una delle tante sfaccettature del concetto di discriminazione; se ne parla, anche le series lo criticano, ma noi non impariamo.

Ci sarà un momento in cui questo finirà; ricordiamoci che il grande Einstein disse

«L’unica razza che conosco è quella umana»

Quindi, perché non cerchiamo di respirare e far respirare tutti?

Barbara Granata

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