Una giornata con il FAI: il “restauro conservativo” dell’agriturismo Fontanelle

Ultimo appuntamento alla scoperta del nostro territorio con il FAI, nell’ambito delle giornate d’autunno: la visita del 24 ottobre all’Agriturismo Fontanelle di San Filippo del Mela (ME). Dopo il primo evento, anche questa volta non abbiamo perso l’occasione di recarci sul posto e far scoprire ai lettori luoghi spesso poco noti di Messina e provincia.

Perché un agriturismo?

Non siamo di fronte ad antiche rovine, palazzi o monumenti, ma ad un agriturismo – all’apparenza – come tanti, in cui si possono degustare prodotti tipici immersi nel verde della natura circostante. In realtà l’agriturismo Fontanelle è diretto erede di una tradizione agricola che affonda radici nella storia dei baroni Ryolo, famiglia nobiliare di origini palermitane trasferitasi nel messinese nel XVIII secolo in seguito alla concessione da parte del viceré delle due Sicilie del baronato di Fontanelle. Qui, tra Sette e Ottocento, approfittando della ricchezza del suolo (il nome Fontanelle deriva infatti dai tanti rivoli d’acqua che scorrevano nel territorio) i baroni Ryolo hanno dato vita a un’azienda fruttuosa famosa in tutta la Sicilia – e non solo – per l’olio e il vino pregiati (olio D.O.P. Valdemone, Mamertino D.O.P.). L’edificio centrale è stato infatti restaurato dalla proprietaria, l’architetto Giuseppina Marullo, seguendo il canone originale della villa settecentesca con l’intento di preservare la memoria di attività agricole cadute ormai in disuso.

Area sotterranea un tempo destinata a parte del processo di vinificazione – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Proprio per questo motivo il FAI ha deciso di premiare il “restauro conservativo”  della struttura e l’impegno concettuale ed economico che l’hanno reso possibile, conducendoci – in una soleggiata mattina d’autunno – alla scoperta di tecniche perdute e memorie di vita contadina.

All’ingresso dell’agriturismo siamo accolti da Benedetta e Andrea, studentesse del Liceo Artistico Renato Guttuso di Milazzo e volontarie FAI: saranno loro a farci da cicerone durante la visita, in compagnia di un gruppetto di dieci persone, muniti di mascherine e alla dovuta distanza di sicurezza.

La stanza del vino

Iniziamo dalla prima grande stanza, la hall dell’intera struttura. Adibita un tempo alla produzione del vino, è oggi un ambiente ampio che – con i comuni comfort e arredi moderni – presenta ancora un torchio dell’epoca utilizzato per la spremitura, il processo più difficile e dispendioso dell’intera vinificazione. Ma fare il vino all’epoca dei nostri avi era anche un momento di festa e convivialità generale. Avete mai visto Il profumo del mosto selvatico con Antony Quinn, Keanu Reeves e Giancarlo Giannini? Contadini e baroni si radunavano e – dopo aver gettato tonnellate di uva raccolta a mano in grandi vasche – vi “ballavano” su a piedi nudi, un po’ come in quella bellissima danza dionisiaca che possiamo ammirare in una famosa scena del film. Ci viene svelato, infatti, che i comodi sedili ricoperti da cuscini sono in realtà i bordi rimasti intatti di una vasca di epoca ottocentesca usata proprio per la pigiatura.

Hall dell’agriturismo. Si possono osservare gli affreschi (non originali) e il muro (originale) dalla caratteristica tonalità violacea, oltre ai sedili – Cristina Lucà © San Filippo del Mela (ME) 2020

Il Frantoio

Entriamo nella seconda stanza, l’ambiente che un tempo costituiva il frantoio. Tra i tavoli in cui vengono serviti i clienti (ci viene spiegato che attualmente la struttura è chiusa per scelta della proprietaria, vista la complessa situazione epidemiologica), è infatti ancora conservata una macina in pietra originale con la quale veniva eseguita la spremitura delle olive, il primo step della lavorazione dell’olio. I nostri ciceroni ci raccontano che la macina veniva fatta girare per due ore grazie alla forza di un bue, fino all’ottenimento della pasta d’olive: questa veniva poi conservata in delle sacche dette bruscole, che troviamo appese alle pareti. Il nostro occhio attento ai piccoli dettagli non si lascia sfuggire u cafisu: una piccola tazza in alluminio utilizzata proprio come unità di misura dell’olio durante la lavorazione (corrisponde a 11,5 litri ca.) L’etimologia della parola risale a qafiz, misura di volume ancora oggi presente nel mondo arabo.

Antica macina nella moderna sala da pranzo – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Proseguiamo nel giro e virtualmente anche nella storia dell’olio. Ultimo step della lavorazione: l’olio veniva versato in giare, poi interrate nel pavimento. È la volta quindi della stanza più piccola, un tempo la stanza delle giare, oggi anch’essa destinata alla ristorazione. Anche qui è possibile ammirare quella commistione particolare tra cimeli originali e arredi moderni, con parte del soffitto in legno originale e parte ristrutturato, a causa dello stato in cui riversava il tetto stesso. Discorso analogo per i muri, rifatti per rispettare le norme antisismiche.

Esempio di antica giara originale – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

La visita volge alla conclusione, ma la villa ha ancora le sue chicche da rivelarci: le nostre guide ci conducono negli ambienti minori, inquadrati un tempo come case coloniali. Ci viene mostrato un atto della camera di commercio del 1867 che testimonia come il vino dei baroni Ryolo approdò quell’anno all’esposizione universale di Parigi per rappresentare le delizie dell’Italia. Sorridiamo al pensiero che oggi preferiamo importare vini francesi e scopriamo il motivo dell’interesse nell’esportazione: dalla prima spremitura era ottenuto un vino dalla gradazione alcolica maggiore, spedito in Francia per “tagliare” i vini locali molto più leggeri; dalla seconda si ricavava l’acquerello, molto meno alcolico e veduto a basso prezzo in Sicilia.

Vari oggetti nella stanza delle botti – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Ma la meraviglia finale e forse più nascosta della villa è sicuramente la stanza delle botti, l’unico ambiente in cui il presente sembra quasi non essere ancora entrato. In questa sorta di piccolo museo agricolo dai toni grigi e marroni troviamo gli oggetti più disparati: aratri, bilance, bruscole perfino antichi infissi, ma anche del filo spinato, un tempo utilizzato per segnare i confini della tenuta. Le ragazze spiegano che è stato lasciato dai soldati – insieme ad armi e munizioni – durante la Seconda Guerra Mondiale e la proprietaria ha deciso di conservarlo proprio in memoria delle atrocità della guerra.

La nostra giornata d’autunno in compagnia del FAI volge al termine: scambiamo due parole con la proprietaria, con le organizzatrici e ci rendiamo conto di come le iniziative FAI rimangono forse una delle poche occasioni per scoprire la cultura del nostro territorio.

 

 Angelica Rocca, Emanuele Chiara

 

Immagine in evidenza: Agriturismo Fontanelle, Azienda Agricola Barone Ryolo dal 1824 – Cristina Lucà ©, San Filippo del Mela 2020

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