Sardegna

Elezioni europee, il caso della Sardegna sfavorita dal sistema

Non è una questione che fiocca oggi, anzi, è già da parecchi anni che se ne discute. Ogni volta che si avvicina il momento delle elezioni europee – al trascorrere di cinque anni – i sardi devono fare i salti mortali, le preghiere, gli scongiuri e i tentativi più vari per non essere fagocitati senza risvolto dal cattivo sistema elettorale italiano.

Il problema è semplice da poter essere compreso immediatamente. Dei settantasei rappresentanti che il Belpaese manda al parlamento europeo, otto devono essere eletti nella circoscrizione insulare, che comprende i territori di Sicilia e Sardegna.

Un controsenso evidente già alla spiegazione, visto che le due terre, demograficamente, non sono nemmeno paragonabili…

In Sardegna non è democrazia

Date recenti indagini, in Sardegna vi sarebbero circa 1,5 milioni di abitanti, mentre in Sicilia ve ne si troverebbero quasi 4,8 milioni. Da questo ne discende naturalmente che l’isola scomposta dallo stivale non gode di alcuna autonomia elettorale.

Per le importanti differenze demografiche stanti tra i due territori, sono i siciliani (o chi per loro) sempre a decidere per entrambe le realtà, dovendo all’occasione scendere a patti come padroni di un potere costantemente da confermare.

Si può scrivere senza timore di essere irriverenti che i candidati sardi vengono eletti spesso come “concessione” altrui. Oppure, più raramente, vengono eletti per mezzo di una straordinaria performance elettorale, quando riescono a ottenere molti consensi anche in terra siciliana o a concentrarne in numero abnorme in casa propria.

Insomma, per le europee in Sardegna, allo stato attuale, non è democrazia.

I tentativi di risoluzione

Il problema affonda le sue radici nel tempo in cui vennero decise queste circoscrizioni elettorali. Dunque non nel 2024, ma nel lontano 1979. E da allora ci sono state almeno due occasioni celebri in cui qualcuno si è mosso per provare a risolvere la questione.

L’Associazione per la tutela dei diritti dei sardi – imputando come causa la specificità linguistica sarda – aveva sporto ricorso alla legge elettorale del 1979. Ricorso che ebbe buon riscontro in tribunale, salvo poi essere respinto dalla Corte Costituzionale e, ancora dopo, dal Senato della Repubblica. La richiesta era di avere un numero equo di europarlamentari, come avviene per le minoranze riconosciute in Valle d’Aosta, Trentino e Friuli.

Un secondo tentativo, poi, fu compiuto nel 2019, quando le segreterie dei partiti nazionali in Sardegna si riferirono direttamente a Roma per ottenere un seggio in sede europea. Nuovamente senza successo.

La situazione oggi e le ipotesi sul futuro

La scossa più recente, comunque, è del 2022. Allora, in risposta a una richiesta del consiglio regionale sardo, il Ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli ha dichiarato la propria disponibilità per modificare la legge elettorale del 1979, individuando nella creazione di un collegio unico per la Sardegna la soluzione risolutiva.

Considerando che il 2022 è stato anche l’anno in cui il governo Meloni e il Ministro Calderoni hanno preso seggio a palazzo Chigi, non c’è da rassegnarsi in merito a quest’ultima apertura. D’altronde, le dichiarazioni di Calderoli non costituivano una promessa specifica in vista del 2024 – un periodo troppo vicino per operare sconvolgimenti del genere – ma un’imprecisata promessa d’azione per il futuro.

La prossimità al momento elettorale, sostanzialmente, potrebbe costituire solo un impedimento momentaneo per la manovra di cambiamento.

Ad ogni modo, se l’impegno dovesse essere mantenuto e la Sardegna dovesse essere fornita di un collegio proprio per le elezioni europee del 2029, con ogni probabilità si configurerebbe un nuovo assetto anche per il resto della penisola. La Sicilia potrebbe essere aggiunta nel collegio dell’Italia Meridionale. Così l’Abruzzo, per riequilibrare le proporzioni, potrebbe a sua volta slittare dal collegio dell’Italia Meridionale a quello dell’Italia Centrale.

Gabriele Nostro

 

 

 

 

 

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