Appuntamento eterno

Sono sempre qui dieci minuti prima. È la mia routine, è d’obbligo. 

Il portone in legno d’ingresso è quasi invisibile, coperto da quella trentina di mamme in tiro, con il trucco perfetto, tacco 15 e borsa di marca al braccio. È criptico il loro spettegolare ed ancora più enigmatico il loro trovare sempre un nuovo argomento di cui starnazzare.

Come fanno – mi chiedo – mentre dalla mia postazione, qualche centimetro dietro di loro, cerco di sfuggire agli sguardi di scherno.

Sento il suono della campanella; subito un allegro vociare e poi vedo il portone aprirsi: una mandria di bambini con il grembiulino blu esce salutando la mamma, agitando la manina.

La donna che mi sta davanti mi guarda titubante e prende in braccio una piccola bimba con le treccine, sussurrando all’amica: “Cosa fa quella sempre fuori dalla scuola? Mi preoccupa!”.

Le mie orecchie captano ogni parola ed i miei occhi si colorano di tristezza e di rabbia; così urlo: “ Io aspetto mio figlio, lo aspetto sempre!” – mi si affievolisce la voce – “Prima o poi uscirà da scuola!”

Sento ancora i versi impauriti di quelle donne accerchiarmi, mentre stringo l’unica cosa che mi rimane di Roby: quella foto in spiaggia, in cui siamo io e lui; quel sorriso allegro che pensavo di poter vedere anche il giorno dopo, magari nella stessa spiaggia, magari con quel secchiello con l’acqua traboccante che teneva stretto nelle sue piccole mani.

  • È suonata la campanella – penso –  dove sei?

Jessica Cardullo

di Redazione UniVersoMe

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