mani con manette che rappresentano reato di tortura
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Tortura, la proposta in Parlamento per l’abolizione del reato

Fratelli d’Italia, il partito guidato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, recentemente ha presentato una proposta di legge per abrogare il reato di tortura, con prima firmataria la deputata Imma Vietri. Nello specifico, con il provvedimento assegnato in Commissione Giustizia della Camera, si intendono di fatto abrogare gli articoli 613-bis e 613-ter del Codice penale che introducevano il reato di tortura e l’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.

La legge n. 110 del 14 luglio 2017

In Italia, il reato di tortura arriva solo nel 2017, dopo un lungo e complesso iter parlamentare presentato in aula dallo schieramento politico PD-AP. Venne, quindi, introdotto dalla legge n. 110 del 14 luglio 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.166 del 18 luglio 2017.

Nello specifico, la tortura è un reato previsto e punito dall’art. 613-bis del codice penale;

Art. 613-bis (Tortura). – Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

La pena è inasprita se a commetterlo è un pubblico ufficiale:

Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.

Non solo, la legge contempla il delitto di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter):

Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Nonostante la legge di per sé presenta alcune criticità, poco dettagliata e troppo astratta, ha come motore principale la dignità umana: non è infatti giustificabile che, il fatto che una persona sia sottoposta a una limitazione della libertà personale, possa essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti. La legge, nella sua interezza, rappresenta difatti un reato comune, ovvero non indirizzato specificamente contro le forze dell’ordine, sebbene venga prevista un’aggravante nel caso in cui a commettere il reato siano agenti delle forze dell’ordine.

Abrogare la legge contro il reato di tortura non è la soluzione

Tale proposta di questa portata non è una novità tra le dichiarazioni del partito di destra. Infatti, Giorgia Meloni lo aveva annunciato già nel 2018, dichiarando che il reato di tortura “impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro e per questo ne era necessaria l’abolizione.

Ora che è al governo, la proposta diviene realtà. Gli esponenti firmatari di Fratelli d’Italia spiegano le ragioni della proposta soprattutto a difesa delle Forze di polizia:

L’incertezza applicativa in cui è lasciato l’interprete potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni  è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica. Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata.

In poche parole, il rischio di subire denunce e processi penali disincentiva e demotiva l’azione delle Forze dell’ordine, privandoli dello slancio necessario per portare avanti al meglio il loro lavoro, con conseguente arretramento dell’attività di prevenzione e repressione dei reati.

Dopo una prima ondata di polemiche, soprattutto provenienti dall’opposizione di sinistra, Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, dichiara che «non vi è volontà da parte di Fratelli d’Italia di abrogare il reato di tortura, ma di tipizzarlo in modo molto nitido così come è nelle convenzioni internazionali». A prima vista un retro-front strategico, ma non abbastanza per placare il movimento di critica…

In prima linea, la deputata di Sinistra Italiana-Alleanza Verde Ilaria Cucchi ha dichiarato che «Questo è un fatto gravissimo. Sostenere che la tortura in Italia non esista è una bugia. Più di un giudice, prima dell’introduzione di questa legge si è trovato a non poter procedere perché la legge non esisteva. Abbiamo lottato per la sua introduzione e ora rivolgo un appello a tutte le forze politiche, soprattutto al presidente della Repubblica: giù le mani dalla legge che punisce la tortura

Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, ritiene «Il reato di tortura c’è in tutti gli ordinamenti democratici, è richiesto dalle convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani, siamo uno degli ultimi paesi occidentali che l’hanno introdotto. L’idea di abrogarlo rivela un’idea preoccupante e pericolosa dell’uso del potere e della forza da parte della destra. La difesa dello stato di diritto, e la difesa delle nostre forze dell’ordine, non può tollerare che lo si metta in discussione».

Cosa dice il rapporto del CPT riguardanti le carceri italiane

Solo un anno fa il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura (CPT) aveva fatto visita nelle carceri italiane, e nello stesso giorno in cui è stata annunciata l’intenzione di abrogare il reato, è stato pubblicato il rapporto. I risultati fanno il punto della situazione sullo stato di salute degli istituti di privazione della libertà personale: violenze e intimidazioni tra detenuti sono alcune delle realtà riportate dall’organo europeo, insieme a una quota di sovraffollamento in tutte le strutture visitate, e che in particolare nella prigione di Monza, raggiunge picchi del 152%. Alla luce di quanto raccolto, Strasburgo chiede anche di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e misure urgenti e specifiche per le donne e per le persone transessuali carcerati.

Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, parla di una vera e propria riforma del sistema penitenziario, che guardi alla pena come elemento di risocializzazione della persona. Favorevole al sistema delle celle aperte, in cui il detenuto non passa 20 ore su 24 chiuso nella propria cella, ma, al contrario, ha la possibilità di usare il proprio tempo in attività formative ed educative, che non si limiti ad una mera «passeggiata per le sezioni senza poter far altro».

A commentare il rapporto del Cpt è stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio: «È vero che le nostre carceri sono sovraffollate, ma abbiamo ampi progetti per ridurre questa criticità. Un progetto a lungo termine riguarda la dismissione delle vecchie carceri, come Regina Coeli che può essere venduto sul mercato, prevedendo la costruzione di nuove case, ma anche un progetto a lungo termine, soluzione più ambiziosa e definita, di utilizzare una serie di edifici, a cominciare da caserme dismesse, che hanno struttura compatibile con il carcere».

Victoria Calvo

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