Le proteste delle donne turche in seguito alla decisione sulla Convenzione di Istanbul (fonte: tg24.sky.it)

Lotta alla violenza sulle donne: la Turchia si “ritira” dalla Convenzione di Istanbul

La Convenzione firmata proprio a Istanbul

Le proteste delle donne turche in seguito alla decisione sulla Convenzione di Istanbul (fonte: tg24.sky.it)

Il governo turco si dice “sinceramente” impegnato nel salvaguardare le donne come meritano. Questa la dichiarazione, via Twitter, del vicepresidente Fuat Oktay, in seguito a un evento sconvolgente per l’intera Europa: la Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

La decisione è arrivata nella notte tra il 19 e 20 marzo, resa pubblica con un comunicato del presidente Recep Tayyip Erdogan.

“Non è necessario cercare rimedi esterni o imitare gli altri per questo obiettivo fondamentale. La soluzione invece è nelle nostre tradizioni e costumi, in noi stessi” ha aggiunto il vicepresidente, per spiegare la scelta del governo

Ancor prima di analizzare gli eventi e le reazioni scatenatesi, positive e negative, bisogna sottolineare che ci troviamo di fronte a un doppio apparente paradosso: la Turchia è stato il primo Paese ad accettare il trattato del 2011, promosso dal Consiglio d’Europa, noto come Convenzione di Istanbul proprio perché ratificato nella metropoli turca; inoltre, fu proprio il presidente Erdogan a firmare. Negli anni successivi alla ratifica, il presidente aveva anche spesso citato tale scelta per dimostrare i progressi dello Stato nell’ambito della parità di genere.

Il testo firmato finora da 34 – ora 33 – Stati, prevede che i governi firmatari formulino una legislazione per la protezione delle donne da violenze, da tutti gli abusi, anche la violenza coniugale e le mutilazioni genitali femminili, oltre che la discriminazione di genere. Conosciuto anche come “trattato 210” del Consiglio d’Europa, prevenzione, protezione, azione giudiziaria e coordinamento delle politiche sono i punti fondamentali su cui si basa. Gli Stati che vi hanno preso parte si impegnano, dunque, in una serie di misure che assicurino una drastica riduzione dei fenomeni di abusi e la presa in carico delle vittime.

 

L’esultazione dei conservatori islamisti

Secondo alcuni esperti analisti, Erdogan avrebbe operato questo ulteriore strappo con l’Europa per il favore dell’ala conservatrice dell’elettorato e del suo stesso partito, l’Akp.

Il presidente Erdogan (fonte: ansa.it)

Per i conservatori islamisti, la Convenzione sarebbe contraria ad alcuni principi dell’Islam, minando al concetto di “famiglia tradizionale”, incoraggiando i divorzi, ma anche l’omosessualità, sostenendo e proteggendo i diritti della comunità lgbt+.

Già da alcuni anni, però, la linea politica del presidente ha virato verso un’ideologia e un’azione sempre più autoritaria e conservatrice, lontana da politiche di eguaglianza.

Il ministro della Famiglia, del Lavoro e dei Servizi sociali, Zehra Zumrut Selcuk, ha scritto su Twitter che la Costituzione turca prevede già delle norme sufficienti a garantire i diritti delle donne, che la Turchia continuerà a reprimere senza tolleranza la violenza sulle donne.

“La Convenzione di Istanbul è stata un’importante iniziativa”, ma “ha ormai perso la sua funzione originaria e si è trasformata in una ragione di tensioni sociali”, ha commentato l’associazione di donne islamicheKadem”, di cui vicepresidente è la figlia di Erdogan, Sumeyye.

In realtà, la Turchia non è stato il primo Paese ad uscire dalla Convenzione. Già la Polonia, nel luglio 2020, ha deciso di abbandonare gli accordi. Il partito conservatore di diritto e giustizia, il PiS, al vertice del governo, ha così scelto sostenendo che il testo contiene concetti ideologici da esso non condivisibili, tra cui la distinzione tra sesso “socio-culturale” e sesso “biologico”.

Inoltre, alcuni Paesi hanno sin dall’inizio deciso di non firmare, quali Russia e Azerbaigian, ma molti altri – Armenia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Moldavia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Ucraina – non hanno ancora proceduto con la ratifica dell’accordo, nonostante la firma.

 

Le critiche dall’opposizione turca, dall’Europa e dall’Italia

L’opposizione non ha tardato a farsi sentire. Il Chp, tramite il suo numero due Gokce Gokcen, ha detto che abbandonare la Convenzione significa considerare “le donne cittadine di seconda classe e permettere che vengano uccise”.

(fonte: ansa.it)

In effetti, in Turchia la problematica è ancora più grave rispetto alle altre situazioni europee. Secondo le stime fornite dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il 38% delle donne turche è stata vittima di violenze da parte del partner almeno una volta nella loro vita, percentuale che in Europa è del 25%. Secondo un’associazione che monitora i casi di violenza, nel Paese, ci sono stati almeno 300 femminicidi, 171 avvenuti in circostanze sospette; in questi primi mesi del 2021 ce ne sono stati 77.

Eppure, per il governo turco, il Paese non avrebbe bisogno di “spinte” dall’esterno.

Anche il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric ha commentato la vicenda definendola un pericoloso passo indietro, avvenuto, tra l’altro, a pochi giorni dal decennale della Convenzione. Aveva ricordato gli importanti progressi registrati dal 2011, ma aveva anche lanciato un monito, sottolineando la necessità di continuare ad agire con determinazione, poiché questa piaga continua a mietere vittime ogni giorno.

“Il numero di telefonate ricevute dai centri specializzati nell’assistenza alle vittime della violenza domestica è aumentato durante l’applicazione delle misure anti-Covid” ha detto il segretario. Il coronavirus, infatti, ha spostato la violenza dalla strada in casa, dando a mariti e conviventi violenti più possibilità di colpire facilmente, rendendo più difficoltosa l’individuazione di situazioni pericolose e il conseguente soccorso, oltre che la richiesta di aiuto da parte delle stesse vittime di abusi.

Il segretario Pejcinovic Buric, inoltre, ha spiegato che in Turchia movimenti politici attaccano la Convenzione di Istanbul a causa di un’interpretazione sbagliata dei suoi obiettivi. Questo ha favorito il ritiro del Paese.

“La Convenzione del Consiglio d’Europa che ha riconosciuto la violenza contro le donne quale crimine contro l’umanità era stata approvata proprio nella capitale turca e la Turchia era stata il primo paese a firmarla: fu un doppio segno di speranza e un messaggio rivolto a quei Paesi che, per religione e tradizioni, sono ancora indietro nel riconoscimento dei diritti delle donne. Un pilastro della legislazione internazionale sui diritti e contro la violenza di genere.” ha detto la senatrice italiana Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e la violenza di genere.

“Il ritiro della Turchia conferma la preoccupazione sentita da tempo da tutte le donne impegnate contro la violenza alle donne” ha affermato Marcella Pirrone, avvocato di D.i.Re e presidente di WAVE, Women Against Violence Europe. L’avvocato ha ricordato che Ong, in particolare quelle specializzate nella lotta alla violenza contro le donne, avevano già lanciato assieme al Consiglio d’Europa e alla Commissione Europea un forte allarme rispetto ai movimenti politici di alcuni Paesi – Turchia, paesi del gruppo Visegrad4, Bulgaria – che avevano assunto posizioni di forte contrasto e opposizione ai principi sanciti dalla Convenzione, rappresentando un’assurdità nel 2021 e, soprattutto, ai tempi di una pandemia.

 

Numerose manifestazioni contro la decisione

Migliaia di donne turche sono scese in piazza. Le manifestazioni più corpose si sono svolte a Kadiköy, la roccaforte laica sulla sponda asiatica della metropoli sul Bosforo, dove si sono incontrati diversi movimenti femministi, Ong e partiti di opposizione.

(fonte: tg24.sky.it)

«Non potrete cancellare in una notte anni di nostre lotte. Ritira la decisione, applica la Convenzione» è lo slogan al sit-in, organizzato dalla piattaforma indipendente “Fermiamo i femminicidi”.

Manifestazioni più piccole si sono tenute anche nella capitale Ankara e nella città di Smirne. Non sono mancati momenti di tensione con la polizia, ma le turche non si vogliono fermare. Già nelle scorse settimane si sono verificate proteste contro il governo, accusato addirittura di favovire le violenze. Manifestazioni tutte sedate duramente dalle forze dell’ordine.

“Ecco il vero volto del governo turco: disprezzo totale per lo stato di diritto e regressione sui diritti umani.” ha dichiarato il relatore sulla Turchia al Parlamento europeo, Nacho Sanchez Amor.

Dunque, la protesta delle donne turche ci ricorda che, in realtà, ancora una volta, non si tratta di Paesi o religioni, ma di singoli uomini e, paradossalmente, singole donne, che decidono per altri. Un fatto – riprendendo le parole della senatrice Valente – “gravissimo”, “un precedente inaccettabile” e “un ulteriore passo verso l’isolamento dal consesso occidentale” per la Turchia.

 

Rita Bonaccurso

 

di Redazione Attualità

Rubrica di long form journalism; approfondimento a portata di studente sulle questioni sociali, politiche ed economiche dall’Italia e dal mondo.

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